Avere un contratto di somministrazione non può diventare una condanna. Precari sempre e per sempre, anche se impiegati da anni in un’azienda che non ritiene vantaggioso assumere direttamente i lavoratori, ma li prende in “prestito” da un’agenzia. E per pagarli meno li sotto-inquadra, fa fare loro meno riposi, cambia i turni, tanto sono ricattabili e quindi non protestano. Non potrebbe succedere e invece succede. Più spesso di quanto si immagini.

La pasta in mano ai precari

Al pastificio Rana di Moretta, in provincia di Cuneo, per esempio, dove cinque anni fa l’imprenditore veneto della pasta fresca Giovanni Rana, insignito anche della cittadinanza onoraria nel paese della Granda, ha acquisito un ex stabilimento Nestlé e ha avviato la produzione. Qui le ricette favolose sbandierate nelle pubblicità sono realizzate sulle spalle dei precari. Qui due lavoratori su tre sono somministrati, 120 diretti contro 230, soprattutto donne. Qui dal 2018 a oggi agli interinali mancano 3 mila euro a testa in busta paga all’anno.

Quattro anni e più

“Senza i 230 somministrati la Rana di Moretta non potrebbe fare il suo business – spiega Sophia Livingstone, segretaria generale Nidil Cuneo, sindacato che insieme a Felsa Cisl e Uiltemp ha organizzato un presidio e che a livello nazionale sta portando avanti la difficile vertenza per il rinnovo contrattuale -. Per questo, abbiamo chiesto l’assunzione diretta di tutti coloro che lavorano da più di quattro anni perché li riteniamo strutturali. Non bastano le 25 stabilizzazioni del 1° novembre scorso, ci vuole un accordo che prevede assunzioni in progressione, prima 50, poi altri 50 nel giro di pochi mesi, in modo che la precarietà rimanga al di sotto di una certa soglia”.

Ma l’azienda leader della pasta fresca non ne vuole sentire parlare di accordi e di incontri con il sindacato degli atipici. Va dritta per la sua strada e non assume, non stabilizza. D’altronde, la legge (sbagliata, ottusa) glielo consente, a quanto pare.

Regola n. 1: aggirare la legge

“Avere due terzi dei lavoratori in somministrazione non è fuori dalle regole purtroppo – prosegue la dirigente sindacale -, perché i limiti percentuali sono stati di fatto tolti dal governo Berlusconi, che ha introdotto tutta una serie di scappatoie. Basta prendere dalle agenzie soggetti svantaggiati: persone under 26 o over 50, oppure stranieri che non hanno un titolo di studio riconosciuto in Europa o Italia. Cosa che Rana fa, arrivando così a questi numeri assurdi”.

Come pagare meno

Ma come è possibile che un’azienda prenda così tanti somministrati per un tempo così lungo, considerato che questi lavoratori costano di più? Devono avere lo stesso trattamento economico dei diretti e in più il datore deve pagare l’agenzia. Quindi se un dipendente costa diciamo 100, per un interinale si arriva a 120: ai 100 vanno aggiunti 20 per l’agenzia.

“Non sembra conveniente, ma nei fatti lo diventa – aggiunge Livingstone -. Basta pagarli di meno, ricorrendo a vari escamotage. Per esempio, i somministrati vengono sotto-inquadrati di uno o due livelli. Ogni volta che c’è un cambio turno improvviso li lasciano a casa, e questo erode le ore di retribuzione, che così si riduce. Li costringono a prendere ferie, permessi o anche assenze non retribuite quando fa comodo all’azienda. Non fanno fare le 11 ore di riposo previste ma meno, e alla macchina che prevede otto operatori ne mettono cinque”.

I lavoratori, che sono ricattabili proprio perché precari, non protestano, non denunciano infortuni, non si assentano mai. Così, l’imprenditore ha una fabbrica che comanda a bacchetta, con una produttività altissima e il vantaggio di avere i due terzi dei lavoratori super flessibili.

I don’t care, non mi interessa

D’altra parte nella maggior parte dei casi la ditta utilizzatrice non si preoccupa dei suoi somministrati: c’è questa ambiguità per cui il lavoratore è dipendente di un’agenzia e quindi la sua situazione non riguarda direttamente la società dove è in missione. Fino al punto che ci sono aziende se ne lavano completamente le mani.

Succede al Nuovo Pignone, sede di Bari. Dei 50 somministrati presenti, 6 operai gruisti specializzati sono precari dal 2013, da dieci anni: un’eternità. Prima erano in una cooperativa esterna, poi c’è stato il passaggio, non voluto, non richiesto ma obbligato, all’agenzia per il lavoro. E da allora aspettano la stabilizzazione, che non arriva. E anche quando la multinazionale assume, preferisce i giovani, più freschi di somministrazione.

10 anni in somministrazione

“Sono due anni che invitiamo il Nuovo Pignone a procedere alla stabilizzazione di questi lavoratori, che con la cooperativa prima e l’agenzia adesso, operano ormai da circa 20 anni all’interno dello stabilimento con mansioni altamente qualificate – afferma Alessandro Castellana, segretario generale Nidil Cgil Bari –. C’è però un totale disinteresse e una certa ostilità nei nostri confronti. Chiediamo solo di adottare un criterio di selezione oggettivo, fondato sia sull’anzianità di servizio che sulla professionalità acquisita. Ma la società non vuole assumersi la propria responsabilità sociale verso queste persone, che hanno garantito per quasi tutta la loro carriera elevati standard quantitativi e qualitativi e alti volumi di produzione e profitto”.

Naturalmente non finisce qui al Nuovo Pignone di Bari. Il sindacato degli atipici della Cgil ha intenzione di mettere in campo azioni di protesta, anche coordinandosi con i lavoratori della sede di Firenze.