I somministrati sono lavoratori sempre in bilico: il loro contratto è a termine nel 75 per cento dei casi, la loro missione può essere interrotta in qualunque momento, per loro la stabilità è spesso un miraggio. Apparentemente è la forma di precarietà meno precaria di tutte. Perché c’è un contratto che dà diritti e tutele, che è o dovrebbe essere equiparato a quello dei colleghi dipendenti diretti dell’azienda, che prevede un sussidio anche quando non si lavora, solo se si è a tempo indeterminato. Ma questo non deve ingannare.

131 giornate, 10 mila euro

La campagna promossa dalla Cgil e dalle sue categorie, “La precarietà ha troppe facce. Combattiamola insieme”, accende i riflettori su una tipologia di flessibilità che ha inizio con il lavoro interinale, introdotto 27 anni fa. Oggi un somministrato lavora in media 131 giornate all’anno e la sua retribuzione non arriva a 10 mila euro: quasi 11 mila se è uomo, 8 mila se donna. Più di un terzo è part time, in 6 casi su 10 è donna. Uno su cinque ha tra i 20 e i 24 anni, quasi 8 su 10 sono assunti con la qualifica di operaio. Insomma, un somministratore è un lavoratore povero, licenziabile in qualunque momento e quindi sempre sotto ricatto.

1 milione attivati, 1 milione cessati

I numeri lo confermano: ogni anno vengono attivati 1 milione di contratti (974.511 nel 2022, secondo i dati Inps), e ogni anno altrettanti non sono rinnovati, a riprova del fatto che questa forma è un insostituibile strumento di flessibilità in mano alle imprese, soprattutto a quelle del Nord, che coprono il 70 per cento dell’utilizzo totale. Questo vuol dire che il turn over, il ricambio, è selvaggio.

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Il triangolo lavorativo

La somministrazione funziona così. Ci sono tre soggetti, lavoratore, agenzia, azienda. L’agenzia e l’azienda stringono un accordo commerciale, l’agenzia contrattualizza il lavoratore che va poi in “missione” nell’azienda. Si applicano due contratti nazionali, quello della somministrazione e quello adottato dall’impresa (per esempio metalmeccanico, chimico, ecc.). In questo triangolo a perderci è il lavoratore, i cui diritti sono piegati alle dinamiche che legano agenzia e utilizzatore.

Se il rapporto commerciale si interrompe o l’impresa non vuole più il lavoratore per qualsiasi motivo, questo viene licenziato senza nessuna spiegazione. Se invece fosse un dipendente diretto, la motivazione ci dovrebbe essere e dovrebbe anche essere valida, e il lavoratore dovrebbe poter impugnare il licenziamento.

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Filo sottilissimo

“Un infortunio, un problema di salute, una gravidanza, una richiesta di congedo e le aziende interrompono le missioni – spiega Rossella Marinucci, della Cgil nazionale -. È una situazione pesantissima: anche se ci mettono impegno, capacità, rispetto delle regole, i lavoratori sono appesi a un filo sottilissimo che si può spezzare in qualsiasi momento, indipendentemente da loro, dai loro atteggiamenti o comportamenti”.

Ecco perché molti rapporti si troncano improvvisamente. Al minimo contrasto o diverbio, si va a casa senza neanche una spiegazione.

Disuguaglianze

“Nonostante sia sostenuta da un contratto nazionale, tra l’altro scaduto da 20 mesi, e da prestazioni che cercano di bilanciare la precarietà, rimane una forma precaria che crea disuguaglianze tra i lavoratori – prosegue Marinucci –: i somministrati svolgono le stesse funzioni, negli stessi uffici, sugli stessi impianti, ma questo non garantisce loro le stesse condizioni di quelle dei dipendenti diretti. Inoltre, dal contratto di lavoro interinale, introdotto nel 1997 a quello in somministrazione del 2003, ogni intervento normativo è andato nell’unica direzione di liberalizzarne l’uso”.

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Uso e abuso

Esplosa in seguito alla cancellazione dei voucher, questa tipologia ha visto un continuo allagamento delle maglie. Questo governo non fa eccezione: gli ultimi interventi legislativi hanno favorito un’ulteriore estensione e superamento dei limiti percentuali all’utilizzo. Interventi e iniziative contestati dalla Cgil, che continua a promettere battaglia per contrastarli. Si tratta dei vincoli sul numero di somministrati che si possono impiegare in rapporto ai dipendenti diretti. Tanto che oggi ci sono imprese in cui i somministrati sono l’80 - 90 per cento del totale degli assunti.

Il fenomeno non ha risparmiato la pubblica amministrazione: erano 13.520 nel 2020, 14.180 nel 2021, con un incremento del 4,9 per cento. Ma la crescita dal 2012 al 2021 è stata impressionante: più 78,3 per cento.

Parità e contratto

Altra questione, la parità di trattamento prevista dalla legge ma spesso aggirata nella pratica. Lavoratori sotto-inquadrati e con contratti reiterati anche di brevissima durata, un sistema che li immobilizza in una perenne incertezza sul futuro. E quando sono di lungo periodo, vivono questa situazione per anni, intrappolati. Tanto che a volte si espongono, eleggono i loro rappresentanti, fanno rivendicazioni anche maggiori dei dipendenti diretti.

Oggi i somministrati e le tre categorie Nidil Cgil, Felsa Cisl e Uiltemp hanno proclamato lo stato di agitazione perché il contratto nazionale è scaduto da 20 mesi e la trattativa di rinnovo è stata interrotta dalle associazioni datoriali con motivazioni pretestuose. Ragione in più per difendere i pochi diritti disponibili.