Una volta si diceva “a chiamata”. Dal 2015 è diventato contratto intermittente: in pratica i lavoratori si mettono a disposizione del datore che ne può utilizzare le prestazioni "all'occorrenza", secondo le proprie esigenze, rispettando comunque un minimo preavviso.

L’Inps ne ha contati 694.852 nel 2022, il 18 per cento in più rispetto al 2021, il 66 per cento al Nord (il 22 al Centro, meno del 15 al Sud), il 26,8 per cento di età compresa tra i 20 e i 24 anni.

Sono a tutti gli effetti dipendenti, il più delle volte a tempo determinato, e guadagnano pochissimo: 2.463 euro in media all’anno, 3.905 se hanno tra 60 e 64 anni. Ma lavorano anche molto poco: 47 è il numero medio delle giornate retribuite.

Negazione di qualità e dignità

Sono davvero tante, troppe le tipologie di precarietà esistenti nel nostro Paese, come denuncia la campagna di informazione e comunicazione promossa dalla Cgil insieme alle sue categorie “La precarietà ha troppe facce. Combattiamola insieme”, che questa settimana fa un focus sull’intermittente e sul contratto ex voucher.

“Sono rapporti di lavoro accomunati da caratteristiche simili - afferma Nicola Marongiu, responsabile dell’area contrattazione, politiche industriali e del lavoro della Cgil -: un’estrema flessibilità, compensi miseri, utilizzo del lavoratore ‘a gettone’. Sono l’emblema della precarietà, più di altri. Nei contratti a termine e in somministrazione, che hanno comunque qualche regola di carattere stringente, per la durata del rapporto l’azienda ha un obbligo di tipo retributivo e contributivo nei confronti del lavoratore. Mentre con il contratto a chiamata e il voucher il meccanismo è: ti chiamo solo se e quando mi serve. Non voglio impiegare parole troppo forti, ma si tratta di contratti ‘usa e getta’”.

Sebbene siano fissati alcuni limiti e requisiti, non danno la possibilità di maturare alcun diritto. Insomma, rappresentano la negazione della qualità e della dignità del lavoro e fanno sì che le persone siano povere pur avendo un’occupazione.

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Voucher ovvero Presto

Prendiamo i voucher, o meglio i Presto, contratti di prestazione occasionale, come si chiamano dal 2017, dopo che grazie alla battaglia portata avanti dalla Cgil con il referendum abrogativo per impedirne l’abuso e l’impiego troppo disinvolto, sono stati soppressi e poi rimessi in circolazione con una nuova disciplina.

Il loro impiego è decisamente ridotto rispetto agli anni passati, ma resta il fatto che le attività previste potrebbero essere svolte con maggiori tutele con le forme di lavoro occasionale previste nei contratti collettivi di settore o con la somministrazione (altra forma precaria), garantendo la maturazione di ferie e permessi, mensilità aggiuntive, riconoscimento della malattia, e così via.

“Dobbiamo distinguere i Presto usati dalle aziende dal libretto famiglia – precisa Marongiu -. Un datore di lavoro che non è un’impresa né un professionista può avere bisogno di ricorrere a questo strumento per alcune attività: baby sitting, piccoli e saltuari lavori di giardinaggio, e così via. Il punto è che gli attuali Presto li possono acquistare anche le imprese, che invece devono usare i contratti non i voucher”.

80 mila lavoratori

Nel 2023 le persone pagate con i Presto sono state complessivamente quasi 80 mila (79.420 per la precisione), stando ai dati dell’ultimo osservatorio precariato dell’Inps: 56.419 contrattualizzate da un’azienda, pagate per 66 ore lavorate 910 euro lorde, e 23.001 persone con libretto famiglia, quindi alle dipendenze di un nucleo familiare, retribuite per 102 ore 1.082 euro lordi.

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Liberalizzare non vuol dire più lavoro

“L’abolizione del voucher e il passaggio al nuovo ordinamento hanno dimostrato come strumenti leggeri e flessibili generano precarietà e povertà – aggiunge Marongiu -; una copertura degli abusi e della irregolarità che privano di tutele e dignità economica le persone. Per questo abbiamo contrastato le scelte della ministra del Lavoro Calderone e del governo che senza alcun confronto con il sindacato hanno annunciato trionfalmente interventi in materia, per creare occupazione e dare risposte, interventi che non solo hanno ulteriormente liberalizzato l’uso del contratto a termine e della somministrazione ma hanno anche esteso nuovamente l’uso del voucher Presto”.

Senza entrare troppo nel dettaglio, basti dire che da maggio 2023 il cosiddetto decreto Lavoro (dl 48/2023) ha innalzato il limite da 10 mila a 15 mila euro per gli utilizzatori che operano nei settori congressi, fiere, eventi, stabilimenti termali e parchi di divertimento, lasciando inalterati i limiti imposti ai prestatori, ha riportato nelle tabaccherie l’incasso e la vendita, e ha introdotto il voucher per l’agricoltura Loagri. In pratica, legittima ancora di più lavoretti che lavoretti non sono.