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Fareste una consegna, 20 chilometri ad andare e altrettanti a tornare in auto, per 5-6 euro lordi? Molti di noi non lo farebbero. Non lo ha fatto nemmeno un rider di Portogruaro, Venezia, che si è rifiutato di portare un ordine del Burger King con Deliveroo per quella paga misera. Dopo, però, è stato punito, per ripicca o per dispetto. Il responsabile del fast food ha deciso di disattivare l’apparato: niente più ordini e niente più consegne. E i colleghi del lavoratore si sono schierati con il rider per protesta.
“Con questi compensi non rientriamo neppure delle spese: usura dell’auto, carburante, tasse, contributi – spiega Andrea Reccardo, portavoce dei rider della città veneziana -. I compensi sono ridicoli. 40 chilometri andata e ritorno, da 20 minuti a mezz’ora per andare e tornare, 6 euro lorde. Facendo due conti, sono sì e no 30 centesimi a chilometro. Così sei in perdita. Ordini come questo li rifiutiamo di continuo, le tariffe imposte da Deliveroo sono troppo basse. Questo succede da quando ci hanno dimezzato le paghe, da un anno a questa parte”.
Andrea racconta che ha una partita Iva, come altri tre colleghi, solo uno ha una collaborazione occasionale. Quando ha iniziato, qualche anno fa, portava a casa 3 mila euro lordi al mese, cioè circa 2.300 netti, lavorando quasi tutti i giorni. Un anno fa, il crollo delle paghe: per guadagnare mille euro lordi, dovevi percorrere 2.500 chilometri, adesso ne devi fare 5 mila, il doppio.
“Riesco a racimolare 1.200 euro al mese, facendo consegne per 5-6 giorni a settimana, alla fine sono in perdita e sfrutto tanto la macchina – prosegue Andrea -. Per fortuna per me questo è un secondo lavoro, che svolgo di giorno dalle 11 alle 23. Altrimenti non potrei campare”.
Altre volte il Burger aveva deciso di spegnere il device degli ordini, insomma non è una novità. I cinque rider di Portogruaro continuano comunque a lavorare con gli altri ristoranti della città.
“Quello che è accaduto fa luce su un tema conosciuto da anni ma di cui si parla ancora troppo poco – afferma il segretario generale del Nidil Cgil Venezia Gianfranco Rizzetto -. Stipendi bassi, cottimo, e nessuna tutela: dover lavorare per pagarsi il carburante e la manutenzione del proprio mezzo per fare consegne non è pensabile. Gli operatori del delivery spesso sono in una zona grigia tra il lavoro autonomo e il lavoro subordinato. Le piattaforme tendono a considerarli autonomi, come in questo caso, ma in realtà la loro attività è fortemente condizionata e organizzata dalla piattaforma stessa. Qui quasi tutti i locali hanno tariffe bassissime e tanti chilometri da coprire per una consegna. Noi ci siamo messi a disposizione per capire la situazione e se ci sono gli estremi per una vertenza legale”.
Che il rapporto che lega il rider alla piattaforma digitale si presuma di natura subordinata, quando c’è un potere di controllo o di direzione da parte di quest’ultima, lo ha stabilito con chiarezza la direttiva europea approvata nell’ottobre scorso, che deve essere recepita dagli Stati membri nel giro di due anni. E sempre in base alla nuova normativa i colossi del food delivery sono considerati datori di lavoro a tutti gli effetti, quindi soggetti a obblighi assicurativi e contributivi.
“Anche se in apparenza sembrano dei lavoratori con la possibilità di autodeterminarsi – conclude Rizzetto -, alle loro spalle c'è un rigido algoritmo che detta tempi e modalità di consegna, a cui è quasi impossibile sottrarsi. Il tutto senza considerare il fatto che le paghe si sono ulteriormente ridotte”.