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Per le lavoratrici e i lavoratori dei servizi pubblici, la stagione dei rinnovi 2022-24 si è conclusa con il contratto della dirigenza sanitaria che la Fp Cgil non ha firmato. Con Federico Bozzanca, segretario generale della categoria, facciamo il bilancio di questi mesi con le implicazioni che la divisione sindacale porta con sé. I futuri rinnovi? E quali sono prospettive del perimetro pubblico contenute nella manovra all’esame del Parlamento? Il giudizio di Bozzanca è netto: si impoveriscono i servizi, si riduce il perimetro pubblico, si fa male al Paese.
Con la sottoscrizione del contratto per la dirigenza sanitaria si è conclusa la stagione dei rinnovi del triennio 2022-24, la Fp non ha firmato. Facciamo un bilancio?
Quello che si è verificato con questa tornata contrattuale è sicuramente inedito. A fronte di piattaforme contrattuali, presentate insieme a Cisl e Uil, in cui si chiedeva esplicitamente il recupero della perdita del potere d’acquisto, il governo, attraverso l’Aran, ha proposto, invece, dei rinnovi contrattuali con aumenti salariali assolutamente insufficienti, inferiori del 10% rispetto a quello che avrebbe dovuto essere l’incremento necessario a recuperare il tasso di inflazione registrato nel triennio ‘22-’24. Ricordo che i rinnovi contrattuali nei settori privati si stanno chiudendo con almeno il 10% di aumento salariale. Noi abbiamo rifiutato la proposta economica dell’Aran e, tranne per il contratto del comparto sanità, siamo stati gli unici. Perché la chiusura dei contratti con una perdita del potere di acquisto di oltre 10 punti percentuali intacca non solo il presente, quindi le condizioni materiali di vita delle persone che rappresentiamo, ma, in prospettiva, anche il futuro. A partire dalle pensioni.
Questo 10% in meno i lavoratori e le lavoratrici dei servizi pubblici se lo portano e se lo porteranno dietro...
Esattamente. E, aggiungo, in una fase in cui andiamo incontro a una popolazione sempre più anziana e a una forte riduzione del numero dei giovani, l’impoverimento delle buste paga dei lavoratori e delle lavoratrici dei servizi pubblici impatta anche sul mercato del lavoro, impoverendolo e rendendolo poco attrattivo per via dei bassi salari. In realtà stiamo già assistendo alle dimissioni di tanti dipendenti pubblici, soprattutto nei Comuni, il settore in cui le retribuzioni sono più basse. In futuro questo elemento scoraggerà l’accesso ai posti di lavoro pubblici. È molto probabile che un neolaureato troverà condizioni economiche migliori nei settori privati piuttosto che nei pubblici. La carenza di organici sarà un problema per la gestione dei servizi.
Carenza di organici vuol dire meno servizi, ma vuole dire anche un impoverimento dal punto di vista delle competenze.
In termini di innovazione l’effetto è abbastanza chiaro. Nei prossimi cinque anni dai settori pubblici usciranno 700 mila dipendenti. Senza un ricambio rapido e con l’impossibilità, in alcuni settori, di realizzare il turnover, si avrà un’emorragia di competenze che oggi sono dentro il sistema pubblico. È chiaro che, rendendo il settore pubblico poco attrattivo, si incoraggia chi ha una formazione e una professionalità elevate a spenderle in quei settori che garantiscono, in Italia come all’estero, retribuzioni molto più alte. Mancheranno i tecnici, gli ingegneri, i geometri, i profili in grado di progettare e gestire la complessa macchina amministrativa all’interno dei Comuni o dei ministeri. Quelli, insomma, che servono proprio a farla funzionare, la macchina amministrativa.
Questo cosa significa?
Con molta probabilità significherà un arretramento del perimetro pubblico a favore dei settori privati. Fenomeno che in parte già si sta verificando in tante realtà. Si pone chiaramente anche un problema di legittimità democratica, perché il potere politico rischia in tanti casi di perdere il controllo di quelle che sono attività fondamentali. È un terreno molto scivoloso quello verso cui stiamo andando: in alcuni settori è già evidentissimo, e rischia di ampliarsi enormemente a seguito di processi di definanziamento dei servizi pubblici.
Rimaniamo ancora un momento sulla stagione contrattuale. Ora si apre la stagione del rinnovo del triennio 2025-27, in quali condizioni? Nella legge di bilancio le risorse per il rinnovo contrattuale del futuro ci sono?
Per la prima volta il governo, attraverso la scorsa legge di bilancio, ha previsto un finanziamento che non copre solo il triennio in corso, ma anche i due trienni successivi. Ci troviamo, quindi, di fronte a una situazione molto differente rispetto a quella del 2022-24, perché allo stato attuale l’inflazione più o meno corrisponde a quello che è il tasso di incremento che è stato finanziato. Però i lavoratori si portano dietro la perdita di potere d’acquisto del 10% contenuta nel contratto attuale.
Quindi sono due le questioni che mi preoccupano rispetto al triennio 2025-27. La prima: la rottura che si è consumata con la firma separata ha determinato una crisi del sistema di relazioni sindacali. Ricordo che la Fp Cgil è il sindacato più rappresentativo, anche sulla base della certificazione della rappresentatività, e di fatto è stata tagliata fuori da tutti i rinnovi contrattuali del lavoro pubblico. Si è rotto un sistema che era stato progettato per garantire che i contratti fossero firmati da una quota percentuale di rappresentatività che andasse ben oltre il minimo necessario. Nella storia dei rinnovi contrattuali la rappresentatività delle firme, in termini percentuali, si è sempre avvicinata al 100% o al 90%, mentre in questa tornata contrattuale è bastato superare il 51% per sottoscrivere i contratti. È evidentemente la rottura con il passato, anche recente, e con la storia. Una rottura che, peraltro, si sta già ripercuotendo sul versante della contrattazione integrativa. In molti contesti, infatti, ci sono amministrazioni che già contestano la nostra titolarità a stare ai tavoli in quanto non firmatari, pur essendo spesso maggioritari in quei posti di lavoro.
È chiaro che c’è una crisi di sistema. È urgente ripartire dalle ragioni per le quali è scoppiata e ricomporre il sistema. Innanzitutto ripristinando il legame tra contrattazione e democrazia. Noi abbiamo presentato una piattaforma contrattuale votata da lavoratrici e lavoratori e siamo rimasti coerenti rispetto a quella piattaforma contrattuale. Altri hanno deciso di sottoscrivere un contratto che pure da quella piattaforma si discostava, senza nemmeno preoccuparsi di fare un passaggio con le lavoratrici e i lavoratori. Allora, una soluzione potrebbe essere rendere vincolante il passaggio democratico sia in apertura della fase negoziale che in chiusura.
Hai parlato di due questioni che ti preoccupano riguardo al rinnovo del triennio ‘25-’27. Qual è la seconda?
La seconda questione riguarda la partita economica. Oggi il tasso di inflazione non è così lontano da quanto stanziato, ma siamo in presenza di dati non definitivi. Cosa accadrà nel ‘26 e nel ‘27? Il sistema non contempla in alcun modo meccanismi di recupero dell'inflazione nel caso dovesse registrarsi una nuova fiammata adesso imprevedibile e, quindi, non contempla meccanismi di recupero di un’eventuale perdite di potere d’acquisto, cosa che invece si ha in altri contratti collettivi nazionali nei settori privati. Questo è il tema che porremo. Serve una garanzia, non accetteremo di trovarci di nuovo nelle condizioni del rinnovo ‘22-24.
Lo ricordavi: proprio in queste ore è arrivata la certificazione della rappresentatività nei settori pubblici, la Fp Cgil è risultata, complessivamente, l’organizzazione sindacale più votata. Si pone un problema di democrazia?
Riteniamo sia necessario affrontare il tema di un ulteriore avanzamento della democrazia sindacale. Una strada può essere, appunto, la possibilità di rendere vincolante la consultazione delle lavoratrici e dei lavoratori all’indomani della sottoscrizione di un’ipotesi di accordo contrattuale.
Un’ultima domanda: il 12 dicembre anche i lavoratori e le lavoratrici dei settori pubblici sciopereranno, perché?
La legge di bilancio continua il processo di impoverimento dei settori pubblici. Si ripropongono politiche di austerità, sia sul versante del sistema sanitario nazionale che sul versante del sistema delle autonomie nonché sugli stessi ministeri. Da una parte si impoveriscono i servizi pubblici e dall’altra, con i tagli agli enti locali, si impoveriscono non solo i dipendenti pubblici tradizionalmente intesi, ma anche i dipendenti di strutture private che svolgono servizi pubblici. Quindi quella all’esame del Parlamento è una legge di bilancio che fa male al Paese, fa male al lavoro pubblico, così come alle cittadine e cittadini.























