Caso Raimo: praticamente una vittoria quella dell’insegnante e scrittore romano che la scorsa primavera era stato sanzionato con un provvedimento disciplinare per le espressioni utilizzate durante la festa nazionale di Alleanza Verdi e Sinistra nel criticare le politiche scolastiche del governo e in particolare del ministro Valditara. Una delle metafore utilizzate da Raimo per descrivere l’autoritarismo – ma anche la debolezza – del ministro e del governo, si ricorderà, era quella della Morte Nera, che si ispira ovviamente a Guerre Stellari.

Ebbene, il Tribunale del lavoro di Roma ha largamente accolto il ricorso, seguito dai legali della Flc Cgil, riducendo drasticamente la sanzione. La scorsa primavera, infatti, l’Ufficio scolastico regionale aveva sanzionato il docente con tre mesi di sospensione (dal 6 novembre al 5 febbraio), stipendio dimezzato, più una serie di sanzioni accessorie, come la sospensione della carta docenti, l’interruzione degli scatti stipendiali, l’impossibilità di partecipare a concorsi, l’impossibilità di fare gli esami di maturità.

Il Tribunale nella sentenza ha riconosciuto il diritto alla libertà di espressione, riducendo la pena da tre mesi a dieci giorni perché, si legge nel dispositivo, “i comportamenti addebitati al ricorrente non rivestono quei caratteri di particolare gravità” (abuso d’ufficio, interruzione di pubblico servizio, etc…) che fanno scattare la sospensione da uno a sei mesi”.

Quei dieci giorni si giustificano, secondo i giudici, per il fatto che Raimo avrebbe oltrepassato “i limiti della correttezza e dell’educazione, anche se non riferiti ad una persona ma ad un pensiero. Ci si riferisce, in particolare all’utilizzo del termine ‘lurido’”.

La sentenza è di grande rilievo, perfettamente in linea con il dettato costituzionale, perché riconosce il diritto alla libertà di espressione che, non si capisce perché, dovrebbe essere limitata per un insegnante, che tra l’altro ha espresso quei giudizi non nella propria sede di lavoro, ma in un evento politico pubblico.

Con un post su Facebook Raimo sottolinea come, proprio per questo, la sua vicenda personale “era sembrata da subito avere una valenza collettiva; si era attivata una mobilitazione importante, che oggi si vede riconoscere le proprie ragioni”.

E ancora: “Provo un grande senso di gratitudine per il sindacato, il pool di avvocati, e le persone che a vario titolo mi hanno manifestato solidarietà e dato sostegno materiale in questi mesi; soprattutto è stato fondamentale chi ha pensato che contrastare le politiche di questo governo e una lotta per una scuola più democratica fosse il modo migliore per starmi vicino”.

Nello stesso post, l’insegnante ha anche annunciato che non si fermerà qui e si opporrà anche a quei dieci giorni giustificati, secondo la sentenza, dall’utilizzo di quel termine “lurido”.

Se infatti la sentenza riconosce che le critiche, anche aspre, non erano riferite alla “persona” – in questo caso al ministro Valditara - ma alla traduzione politica delle sue idee, sanzionare un lavoratore per l’uso di un aggettivo, significa sostenere, continua Raimo, che “si possano infliggere dieci giorni di sospensione dall’insegnamento a un docente pubblico se critica le idee di un ministro aggettivandole come luride. Mi sembra ancora eccessivo”.

Una battaglia dunque non personale. E non solo perché, sempre lo stesso anno e seppur in un forma diversa rispetto al provvedimento disciplinare, il ministro Valditara aveva querelato Giulio Cavalli e Nicola Lagioia per le critiche rivoltegli. Ma anche perché incrocia un altro tema su cui è impegnata la Flc Cgil: quello del codice di condotta dei dipendenti pubblici. Il “nuovo” Codice nazionale di comportamento dei dipendenti pubblici (il Dpr 150 del 23 giugno 2023 che modifica il precedente del 2013), rispetto al quale la Flc Cgil ha fatto ricorso, recita all’art 11 ter che nell’utilizzo dei propri account di social media il dipendente “è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale”.

Proprio sulla base di questo articolo lo stesso Raimo, e sempre la scorsa primavera, era stato a rischio di provvedimento disciplinare per avere in un post social criticato il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, reo di non averlo difeso dalle ripetute minacce fasciste ricevute.

Su questo codice avevamo intervistato Isetta Barsanti Mauceri, avvocatessa esperta di queste tematiche, e per la quale queste indicazioni sono talmente larghe e fumose che di fatto lasciano uno spazio troppo ampio ad azioni disciplinari totalmente discrezionali che possono arrivare a impedire la libertà di esprimere le proprie idee.

Dietro questo articolo del Dpr, per l’avvocata, si scorge “il retaggio culturale di anni passati che non vorremmo tornassero più, un’idea di ossequio incondizionato allo Stato che ti dà il lavoro. Tra l’altro voglio ricordare che il giuramento per i pubblici dipendenti è stato abolito. E invece, secondo quel pensiero, bisogna prestare servizio senza criticare, perché altrimenti si andrebbe a ledere l’immagine dell’istituzione”.

D’altra parte, aggiunge, “lo stesso ministro fa politica nell’esercizio delle proprie funzioni. Valditara, ad esempio, ha cambiato la denominazione del dicastero, diventato dell’Istruzione e del merito per una precisa volontà di perseguire uno scopo. Invece un lavoratore se vuole esprimere il suo disaccordo rispetto a quell’impostazione politica non lo può fare. Ma perché?”.

Insomma in gioco, nella scuola ma in generale nel Paese, c’è quella libertà di espressione e di critica che è una delle basi della nostra Carta democratica. E che riguarda tutti: a prescindere dal lavoro che si svolge e che le politiche autoritarie e securitarie di questo governo sembrano voler sempre più spesso mettere in discussione.