Tutti giù per terra, di Marco Simon Puccioniracconta la storia di Viola, una donna che rivive i traumi del bullismo infantile e di una violenza sessuale subita in età adulta. Tra passato e presente, il corto passato al Roma Film Fest, nella sezione Alice nella città, apre gli occhi allo spettatore su una realtà cruda. E lo inchioda a una domanda ineludibile: tutta questa violenza si sarebbe potuta evitare? Sullo schermo Cinzia Scaglione e Beatrice Stella nei panni di Viola, in un’interpretazione autentica e immediata. Tommaso Ragno, nel ruolo del commissario di polizia, ci restituisce tutto il dolore dell’impotenza, non voluta e complice allo stesso tempo. 

Marco Simon Puccioni, come si è approcciato da uomo alla regia di questo corto?

Per prima cosa, ed è raro per me che di solito scrivo i soggetti dei miei film, in questo caso l’ho affidato a una sceneggiatrice, Cinzia Scaglione, che a sua volta ha tratto l’idea dal libro di un uomo. A quel punto ho lavorato sulla sceneggiatura per farla mia. Ma la preoccupazione a cui faceva riferimento lei nella domanda c’era tutta, proprio per questo ho scelto di circondarmi solo di collaborazioni femminili: dalla fotografia al montaggio, la scenografia, i costumi. Ho fortemente voluto intorno a me una sensibilità femminile, perché per quanto io possa aderire totalmente alla lotta contro la violenza di genere, resto pur sempre un uomo. Devo dire anche, però, che le donne e gli uomini che hanno lavorato al corto hanno reagito in maniera altrettanto intensa. Forse perché il corto in sé è violento pur non essendolo, e dunque va a colpire nell’intimo la paura della violenza che ognuno di noi ha, di poterla subire. Naturalmente penso che per una donna sia più forte, perché richiama alla mente situazioni che si possono aver vissuto. Per un uomo, invece, si tratta nella maggioranza dei casi, di una partecipazione emotiva.

Vedere questo corto da donna significa rivivere quel rischio, anche solo potenziale, che ciascuna di noi ha vissuto almeno una volta nella vita.

Sì, penso sia così. Personalmente sono sempre molto cauto nell’usare il termine “patriarcale”, che trovo anche abusato. Però penso che in questa situazione particolare quello che emerge è proprio l'espressione di questa cultura patriarcale, che incameriamo sin da bambini e poi da ragazzi. Un clima di violenza e di sopraffazione generale che le ragazze e i ragazzi respirano sin da piccoli. Indubbiamente, in questo contesto, il solo fatto di appartenere al genere femminile pone in una condizione di allerta continua, una condizione che l’uomo vive molto meno. Questa costante paura dell’aggressione, della violenza.

Di pochi giorni fa è la notizia dell’ennesimo femminicidio: Pamela, 29 anni. Ciò che sconvolge di quest’ultima storia è che la ragazza viene uccisa proprio mentre urla aiuto. I vicini e le forze dell’ordine la sentono urlare, ma non riescono a salvarla. Questa incapacità di arrivare in tempo è un elemento cruciale nello sviluppo di uno dei due personaggi del corto, il commissario di polizia.

Sì, infatti, è una delle caratteristiche che volevo mettere in evidenza anche attraverso il rapporto tra il presente della donna e il suo passato, ovvero la violenza subita dal branco in età adolescenziale. L’idea è che noi possiamo introdurre tutte le pene possibili, allertare le forze dell’ordine. Ma non basta se non si decostruisce una certa cultura, se non mettiamo in guardia verso tutte le forme di violenza: quella subita all’interno della coppia, della famiglia, o da un estraneo per strada, da una banda. Perché gli uomini protagonisti del corto se la prendono con una donna estranea? Perché la cultura patriarcale insegna loro che possono permettersi di farlo. Ecco perché bisogna educare. Quando deve intervenire la polizia è già troppo tardi. Le pene arrivano alla fine. Lavoriamo sull’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, educhiamo coloro che potrebbero diventare dei “predatori violenti” a stare in relazioni affettive stabili, educhiamo i ragazzi ad accettare la fine di una relazione, a rispettare la libertà e i diritti della propria compagna. Insegniamo loro a subire e vivere l’abbandono senza reagire con la violenza, a reggere la botta emotiva.

Nelle scene che riguardano gli atti di bullismo subiti dalla donna quando era adolescente, ha inserito anche delle ragazze. Scelta interessante. Come è stato lavorare con loro?

Lavorare con i bambini e con i ragazzi è molto diverso dal farlo con attori professionisti. E tuttavia, ho riscontrato in alcuni di loro una profonda consapevolezza soggettiva rispetto al tema affrontato. Per esempio nella giovane attrice che interpreta la protagonista adolescente, Beatrice Stella: l’ho vista molto toccata dalle scene di bullismo che abbiamo riprodotto e ha avuto una grande capacità di esternare le sue emozioni in maniera chiara e definita.

Leggi anche