“La più grande azienda del Paese non può essere ceduta o messa sul mercato. Le Poste, presenti capillarmente in ogni piccolo centro italiano e con 130 mila dipendenti, svolgono una funzione di coesione sociale insostituibile”. A sostenerlo sono il segretario nazionale Cgil Pino Gesmundo e il segretario nazionale Slc, Nicola Di Ceglie, convinti che la scelta del governo sia “sbagliata, irresponsabile, antisociale”.

Da sempre la confederazione di Corso d’Italia, insieme a Slc che organizza i lavoratori di Poste, ha rappresentato la loro contrarietà a “un’operazione avventurosa di natura prettamente finanziaria, finalizzata solo a fare cassa in maniera scriteriata dal momento che lo Stato stesso si priverebbe degli utili che l’azienda Poste produce anno dopo anno con la raccolta del risparmio privato e i molteplici servizi offerti alle comunità territoriali”.

Gesmundo e Di Ceglie motivano la loro contrarietà a quella che chiamano “svendita di Poste” anche con la forte preoccupazione per la tenuta occupazionale. “Un’azienda in salute come Poste Italiane – dicono i due sindacalisti - assicura attività utili e floride che danno occupazione certa a lavoratrici e lavoratori che ora, senza alcuna motivazione, vedrebbero vacillare le loro certezze e la sicurezza del proprio futuro".

“Rimangono oscuri troppi aspetti del provvedimento – osservano infine Gesmundo e Di Ceglie - a partire dalle modalità di sottoscrizione azionaria con cui si vorrebbero coinvolgere i lavoratori. Noi non cesseremo di tutelarli anche rispetto ai rischi a cui sarebbero esposti”.