Le recenti inchieste giudiziarie che hanno travolto la filiera produttiva di Loro Piana, marchio simbolo del lusso italiano, riportano al centro dell’attenzione pubblica il lato oscuro della moda. Dietro l’eccellenza estetica e i bilanci da record, si cela spesso una catena opaca fatta di appalti e subappalti, in cui affiorano lavoro nero, caporalato e violazioni contrattuali. A denunciare questo sistema malato sono le segreterie nazionali di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil, che chiedono con forza un intervento normativo strutturale, in grado di garantire diritti e legalità lungo tutta la filiera dell’abbigliamento, compresi i marchi dell’alta gamma.

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CCNL per tutti e stop ai “contratti pirata”

I sindacati puntano il dito contro un modello produttivo che continua a massimizzare i profitti a discapito della dignità del lavoro, ricorrendo a contratti pirata e regolamenti interni che eludono le tutele previste dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. “Il CCNL di settore deve essere applicato senza eccezioni in ogni passaggio della produzione – spiegano –. Le scorciatoie contrattuali favoriscono il dumping salariale e spingono verso il basso i diritti dei lavoratori”.

Caporalato, dumping e lavoro nero: “Non è più tollerabile”

Secondo i sindacati, le indagini della magistratura stanno svelando una realtà diffusa fatta di caporalato, lavoro nero e sfruttamento sistemico, specie nei nodi più fragili della filiera. Per questo, le organizzazioni chiedono un rafforzamento immediato dei controlli ispettivi, con l’utilizzo di indici di congruità e maggiore attenzione ai subfornitori. Ma non solo: viene sollecitata l’introduzione della responsabilità solidale dei committenti, affinché anche i grandi marchi rispondano delle irregolarità nei passaggi produttivi da loro commissionati.

Tracciabilità etica dei capi: il diritto di sapere “da chi e in che condizioni”

I sindacati propongono inoltre un sistema di tracciabilità etica che accompagni ogni capo d’abbigliamento, permettendo al consumatore di sapere non solo dove e come è stato prodotto, ma anche da chi e in quali condizioni. Una trasparenza necessaria per garantire diritti, premiare le imprese virtuose e scoraggiare chi viola le regole.

“Il Made in Italy deve essere anche giustizia”

“Non basta più indignarsi – dichiarano le tre sigle –. Da tempo sigliamo accordi con le Procure, interveniamo su situazioni di illegalità, denunciamo irregolarità contrattuali. Ma serve un impegno politico strutturale, che traduca questi sforzi in strumenti vincolanti, efficaci, diffusi e preventivi”.

I sindacati chiedono al Governo e alle organizzazioni datoriali di prendere una posizione chiara e netta. E al Tavolo permanente della Moda, istituito presso il Mimit, si sollecitano risposte concrete e rapide: “Il Made in Italy non può fondarsi sullo sfruttamento. La bellezza della moda deve accompagnarsi alla giustizia sociale”.