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Monteverde e Tor Bella Monaca: sono i teatri in cui a Roma si stanno svolgendo due fatti di cronaca che destano profonda preoccupazione. Il primo riguarda il prelievo di Stella (nome di fantasia), 5 anni, che una sentenza colloca in casa-famiglia per essere allontanata dalla mamma giudicata “ostativa” poiché la piccola si rifiuta categoricamente di vedere il padre, rinviato a giudizio per lesioni contro la sua mamma. Ovviamente nessuno tra quelli che dovevano giudicare la vicenda si è preoccupato di chiedere alla bambina il motivo di questo rifiuto.
È più facile dare la colpa alla madre decidendo che sia alienante (tanto non servono prove) e chiudere gli occhi di fronte al comportamento violento del padre. Per dovere di cronaca, ci preme sottolineare che, a parte l’accusa di alienazione parentale (sindrome assolutamente inesistente), nessun comportamento disfunzionale è stato attribuito alla madre.
Come ci racconta la cronaca, i due tentativi di prelievo sono falliti grazie ai condomini che si sono opposti e la seconda volta a dare manforte al condominio si sono aggiunte le istituzioni locali, senatori, centri antiviolenza e sindacati. È difficile dimenticare l’immagine della piccola che, pur di non essere portata via dalla mamma, si era legata con lo scotch alla sedia. La tutrice della bambina nominata dal Tribunale civile di Roma, che ha provato senza successo a convincere gli agenti presenti a sfondare la porta, ha chiesto alla giudice competente di dare il via libera alle forze dell’ordine “con facoltà di rimozione di eventuali ostacoli che impediscano l’accesso all’abitazione”. Venerdì si terrà l’udienza in cui si deciderà se dar seguito alla richiesta.
Proprio nel giorno del tentativo del secondo prelievo forzoso, nel sesto Municipio di Roma, l’unico a guida Fratelli d’Italia e l’unico a non avere un centro antiviolenza, la giunta approva una delibera con cui istituisce il primo centro antiviolenza per uomini maltrattati, il primo della capitale. Nell’atto della giunta municipale si legge che, secondo l’Istat, 435mila giovani uomini sotto i 18 anni tra il 2015-16 hanno subito violenza sessuale.
Ovviamente non si specifica ad opera di chi e neanche se, come probabile, ci si riferisca anche ai dati su abusi e pedofilia sui minori. Si passa poi a spiegare che le donne agiscono soprattutto violenza psicologica, a partire dall’alienazione parentale. Quindi, una sindrome inesistente secondo la comunità scientifica e sostenuta sempre nei casi di affido dai padri violenti si eleva addirittura a forma di violenza agita dalle donne contro gli uomini. Lo scenario che ci si para davanti è quello di separazioni in cui le donne allegano i procedimenti penali per violenza (di cui i giudici sempre più spesso non tengono conto), e gli uomini invece certificazioni di presunti centri antiviolenza in cui sostengono l’alienazione parentale, fatto inesistente e che, di conseguenza, non necessita di prove. Tutto ciò in sfregio assoluto dell’interesse superiore del minore. La delibera finisce poi col sostenere che la violenza non ha genere ed è, dunque, uguale sia per le donne che per gli uomini.
Due fatti, quelli di Monteverde e del sesto municipio tenuti insieme da un sottile filo. Mentre il Parlamento discute del disegno di legge sul femminicidio, un testo prevalentemente centrato sulla punizione per un fatto già avvenuto, la riscrizione della narrazione della violenza maschile contro le donne è già ampliamente in corso. Per anni la Cgil e le associazioni femministe si sono battute per affermare la tipicità del fenomeno della violenza di genere, la sua natura culturale, le profonde radici patriarcali che contamino la società tutta, comprese – purtroppo – le istituzioni e la magistratura.
Appena quattro anni fa, la Cgil – insieme alla Uil e alla rete delle associazioni femministe e ai centri antiviolenza – aveva organizzato un presidio davanti a Montecitorio contro la Pas (sindrome da alienazione parentale), nota anche come la sindrome della Madre Malevola, una teoria nata negli Stati Uniti - e sconfessata dalla comunità scientifica - ad opera di uno psicologo forense Richard Gardner, specializzato in difesa di pedofili e uomini violenti. Secondo tale costrutto a-scientifico, se un bambino o una bambina si rifiutano di vedere il padre (e solo il padre!) la colpa è della madre, per l’appunto “malevola”, “adesiva” o “ostativa” come viene definita in molte sentenze sull’affidamento.
Per guarire da tale malattia immaginaria, c’è bisogno della cosiddetta “parentectomia”, ovvero dall’allontanamento forzato del minore dalla mamma, collocato in casa famiglia o dal padre anche se violento, per procedere con il suo “reset”, ovvero “uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità”, ovvero con il padre perché la madre perde la tutela del minore e spesso le viene impedito di vedere il figlio o la figlia per anni, ovvero finché il “reset” non è completo.
Tali termini, che ci farebbero inorridire se usati verso chiunque, figuriamoci rispetto ad un bambino o una bambina, sono i termini usati dallo stesso Gardner, ripresi in alcune sentenze sugli affidi e riportati anche in due articoli del famigerato decreto Pillon che istituiva la Pas per legge. Il presidio – organizzato nel periodo dei prelievi forzosi dei minori – ebbe il grande merito di costringere le massime autorità competenti – a partire dall’allora ministra delle Pari opportunità Elena Bonetti, finanche alla ministra della Giustizia Marta Cartabia – ad uscire pubblicamente contro questa aberrazione.
Nello stesso periodo, altre due sentenze della Corte di Cassazione (ne era già uscita una nel 2013) chiarirono definitamente l’infondatezza della Pas. In una i giudici parlano di “controverso fondamento scientifico della sindrome Pas cui le Ctu (consulenti tecnici d’ufficio) hanno fatto riferimento senza alcuna riflessione sulle critiche emerse nella comunità scientifica circa l'effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell'ambito delle patologie cliniche”, fino a paragonare la Pas al “tätertyp”, una teoria nazista fondata sull'idea di punire non tanto il fatto commesso, quanto piuttosto il modo d'essere della persona in oggetto: quindi una teoria nazista che colpisce le donne in quanto donne.
Nella seconda sentenza, gli ermellini annullano la sentenza che prevedeva il prelievo forzoso di un minore sempre sulla base della Pas, basando la decisione su tre principi cardinali: l’illegittimità dell’alienazione parentale, la superiorità dell’interesse dei bambini e delle bambine rispetto al diritto alla bigenitorialità e la condanna dell’uso della forza nei confronti dei minori. Nella sentenza si legge che “il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre”.
Grazie alle mobilitazioni e alle sentenze, per qualche anno l’alienazione parentale è stata accantonata perché troppo scomoda. Ma è durato troppo poco. Seguendo il caso di Monteverde, tante segnalazioni da tutta Italia sono arrivate da mamme in attesa del prelievo dei loro figli e figlie sulla base della Pas. Nonostante l’obbligo di allegazione degli atti del penale nei processi civili previsto dalla riforma Cartabia, negli affidi si è tornati a considerare la violenza un fatto estraneo ai procedimenti, trasformando il diritto dei minori ad accedere ad entrambi i genitori nel diritto del padre ad esercitare il proprio ruolo a prescindere da tutto. E in Parlamento si riaffaccia anche una copia del ddl Pillon, più sottile e più pericoloso, a firma di un importante esponente di Fratelli d’Italia.
In altre parole, siamo tornati a quattro anni fa. Ma, come allora, la Cgil è pronta a respingere – insieme a tutto il movimento femminista – questo nuovo attacco alla libertà e all’autodeterminazione delle donne e alla tutela dei minori; ad ogni forma di violenza perpetrata nei loro confronti dalle istituzioni. Se non lo facessimo, avrebbe ragione il condominio di Monteverde, che vuole affiggere uno striscione che invita le donne a non denunciare la violenza subita se non vogliono perdere i figli.