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Bolzano è stata attraversata, negli ultimi giorni, dal corteo dei lavoratori in sciopero della Valbruna, polo siderurgico con un’altra sede a Vicenza. E in molti dicono che questa sia stata la più grande manifestazione di protesta in città da almeno vent’anni. La spia del fatto che pure in Alto Adige, nel grande Nord, ci sono molte cose che non vanno, che devono cambiare. A darci un quadro della situazione locale, nelle stesse ore in cui la confederazione ha lanciato una grande giornata di mobilitazione nazionale a Roma per il prossimo 25 ottobre, è la segretaria generale della Cgil/Agb, Cristina Masera, che abbiamo raggiunto al telefono poche ore dopo la fine dell’assemblea delle assemblee dell’organizzazione alto atesina e delle sue categorie.
Segretaria, quali sono i punti di contatto tra la realtà sociale, economica e del lavoro in Alto Adige e quali invece le differenze rispetto alle criticità e alle preoccupazioni che nascono in altre regioni italiane?
I problemi che ci sono nel resto d’Italia ci sono anche qui. Anzi. Qui si sentono ancor di più, perché nella nostra provincia l’inflazione è sempre stata più alta che nel resto del Paese. Qui la vita è molto cara. Per questo tutte le rivendicazioni che la Cgil nazionale porta avanti riguardo alla necessità di una riforma fiscale che vada decisamente in senso redistributivo e l’urgenza di affermare una giustizia sociale ci riguarda, la sentiamo nostra. Qui la sofferenza dei lavoratori, dei pensionati e delle famiglie è maggiore, i problemi, semmai, sono amplificati. Ci sono però delle differenze importanti. Intanto lo stato della sanità. In Alto Adige è pubblica al 95%, c’è una ferma volontà delle persone affinché tale resti e per tutti, guardando a ciò che succede in altre regioni, è una priorità. Poi si può senz’altro fare meglio, dobbiamo fare grandi passi sulle case della salute e sullo stato di avanzamento dei progetti finanziati dal Pnrr. Quello dell’assistenza territoriale è un punto dolente, la sanità sul nostro territorio resta per ora molto ospedale-centrica. E c’è un passaggio da fare per quel che riguarda la non autosufficienza perché temiamo che il contributo che è stato stabilito per legge ormai anni addietro venga diminuito o, peggio, cancellato.
Precarietà, spopolamento, fuga dei giovani. Qual è la tendenza in Alto Adige?
Sull’emigrazione dei più giovani siamo in linea, purtroppo, con le medie nazionali, forse persino sopra. I giovani vanno altrove a costruire il proprio futuro, anche se qui di posti di lavoro ce ne sono. I ragazzi più formati, quelli che conoscono bene le lingue – e qui la popolazione di madrelingua tedesca è il 75% –, quelli con più competenze, quando vanno all’estero non tornano più indietro. Il saldo è fortemente negativo, lo diciamo da anni. E il nostro grido di allarme è condiviso anche dall’imprenditoria e dalla politica: c’è un movimento trasversale che vuole risolvere il problema, creando situazioni attrattive per convincere chi è partito per studiare all’estero a ritornare. Per adesso però sono in tanti a scegliere di lavorare nelle aree germanofone, anche come transfrontalieri. Ad esempio molti infermieri altoatesini lavorano a Innsbruck perché vengono pagati di più, tanto che negli ospedali della città austriaca ci sono intere equipe composte solo da sudtirolesi.
Quello dello spopolamento delle aree interne, invece, non è un fenomeno diffuso. C’è da tempo una battaglia per evitarlo, la politica ha sempre lavorato per portare le fabbriche e il tessuto produttivo anche nelle periferie e non lasciare che queste zone vivessero solo di turismo e agricoltura. E proprio questo mix ci ha consentito di cavarcela meglio anche durante la pandemia.
La vertenza Valbruna è un fulmine a ciel sereno o è la spia di una crisi industriale che potrebbe diventare preoccupante?
La vicenda legata alla Valbruna è particolare. Quello che ci preoccupa fortemente è che la provincia possa ritenere la produzione industriale un elemento non gradito. Nel caso in questione, parliamo di un’azienda sana, che produce e paga molte tasse. Il tessuto produttivo, in generale, non è in crisi e non lo è neanche la Valbruna. Ci sono stati momenti di cassa integrazione, ma sono stati fisiologici, non preoccupanti. Il problema è politico e noi vogliamo capire se siano intenzionati a mettere in campo una politica industriale. Sarebbe assurdo creare un problema occupazionale dove il lavoro c’è e c’è anche un considerevole indotto. Manca una visione allora, per non parlare dell’indotto della fabbrica. Ci chiediamo se la Südtiroler Volkspartei, unico dei partiti della Provincia, non abbia voluto parlare con i sindacati e mantenga certe posizioni perché i loro elettori sono tradizionalmente più rari in queste fabbriche.
Cristina Masera, l’ultima volte che ci siamo parlati c’era un allarme sullo stato della salute e della sicurezza anche in Alto Adige. Com’è la situazione?
L’opinione pubblica è più informata e attenta, ma miglioramenti non se ne vedono, anzi. Registriamo un peggioramento dal momento che le denunce di infortunio tra gennaio e agosto di quest’anno sono aumentate del 5,35% rispetto alo stesso periodo del 2024, mentre quelle in itinere del 16%, partendo da numeri assoluti doppi rispetto al vicino Trentino. In più è stata concessa una deroga sulla formazione sui posti di lavoro per l’Alto Adige per cui qui i corsi possono essere fatti online e non in presenza. La motivazione ufficiale, che sa tanto di scusa, è che non ci fosse il tempo per attrezzarsi e organizzare i corsi in presenza. Nel settore edile, però, c’è un miglioramento e si stanno organizzando per creare una scuola specifica di formazione. Più in generale non passa ancora il concetto che le aziende che non formano sulla sicurezza fanno concorrenza sleale alle altre.
Siete pronti per il 25 ottobre?
Adesso è la priorità. Anche la nostra assemblea si è aperta sulla grande giornata di mobilitazione a Roma. Investire nel riarmo comporterebbe necessariamente dei tagli nei settori che ci stanno più a cuore. È fondamentale che le persone capiscano che questi temi sono connessi.