Con il cosiddetto decreto dignità a luglio dell’anno scorso la somministrazione è cambiata in termini numerici e qualitativi. Si è infatti passati da una composizione sostanzialmente a termine – frutto del decreto Poletti e del Jobs Act – a un incremento importante dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato attraverso le agenzie per il lavoro con missioni a termine oppure in staff leasing. Si tratta dunque rapporti di lavoro in buona parte slegati dalla variabilità dei volumi produttivi. Allo stesso tempo cresce il numero di attivazioni a tempo indeterminato legate alla stretta sulle causali e alla necessità da parte delle imprese di una continuità lavorativa flessibile (in particolare per le professionalità medie o alte). Una quota consistente dei rapporti a termine in somministrazione, invece, sarà probabilmente caratterizzata da durate più lunghe rispetto alla fase precedente, ma anche da un elevato turnover a ridosso dello scadere dei 12 mesi (il periodo di acausalità): è il problema della sostituzione dei lavoratori somministrati, uno degli effetti perversi della decretazione dello scorso anno e a pagare il conto sono i lavoratori facilmente sostituibili rispetto ad un ampio “esercito di riserva” disponibile nel mondo dei disoccupati.

I temi che dalla premessa emergono sono sostanzialmente due. Il primo è avviare, come soprattutto nell'industria si sta facendo, un percorso di stabilizzazione dei lavoratori direttamente con le imprese utilizzatrici oppure indirettamente, attraverso l'assunzione a tempo indeterminato da parte delle agenzie per il lavoro. Su questa fattispecie torneremo più avanti. Il secondo aspetto è relativo alla continuità occupazionale dei lavoratori a termine che hanno maturato una lunga esperienza presso una stessa impresa: per loro la legge non ha dato alcun indirizzo, lasciandoli scoperti dal diritto di precedenza previsto invece per i lavoratori a termine dopo 6 mesi presso la stessa impresa.

La politica contrattuale perseguita finora da Nidil e dalle altre categorie per la continuità occupazionale, realizzate mediante accordi di bacino, rischiano nel nuovo quadro di essere inefficaci, perché il rinnovo di missioni a termine è soggetto comunque all’indicazione della causale. Si aprono alcune strade negoziali che possono, a nostro parere, essere realizzate a legislazione vigente. Una via perseguibile è quella di declinazione/specificazione delle causali a livello aziendale (indicando in quel determinato luogo di lavoro, tenuto conto delle specificità produttive, che cosa è non programmabile, non ordinario, temporaneo ecc…). Per farlo bisogna però fronteggiare superare le resistenze delle imprese, le quali preferiscono proporre accordi di prossimità per loro politicamente più sostenibili.

Altra soluzione può essere il part time verticale a tempo indeterminato che – in assenza di copertura retributiva e contributiva da Naspi per i periodi di non lavoro, un fatto per molti versi inspiegabile – pone però il problema del consenso dei lavoratori che di fatto rimarrebbero con periodi scoperti a livello economico e pensionistico. Su quest’ultimo versante, le sentenze positive che Inca e categorie hanno ottenuto ci fanno nutrire qualche speranza su una maggiore utilizzabilità del part time verticale per tenere insieme cicli produttivi lunghi, ma non annuali, e continuità occupazionale dei lavoratori. Contestualmente varrebbe la pena sperimentare forme di compensazione economica a carico delle imprese che andrebbero sostenute, magari qui sì, da una fiscalità di vantaggio che riduca i costi aziendali. Ovviamente, non sfugge il rischio di modalità abusive da prevenire attraverso un’attenta analisi dell'organizzazione aziendale.

Altra via percorribile appare quella dell’utilizzo della stagionalità. Non ci si riferisce a quella definita dalla legge attuale che, nell’elencare le attività, parte dalla “sgusciatura delle mandorle” mostrando tutta la sua vetustà. Bensì alla stagionalità che si può definire insieme alle aziende: in questo caso va contrattato il diritto di precedenza per il lavoro in somministrazione per limitare il turnover e per evitare il ricorso all'articolo 8 della legge 148/2011, il cui utilizzo è molto cresciuto, talvolta in maniera impropria, per “coprire” situazioni che non avevano bisogno di deroghe come ad esempio la durata massima dei tempi determinati o la percentuale di ricorso a contratti e termine e somministrazione; questioni, queste, che la contrattazione collettiva ha la facoltà di esercitare senza deroghe.

Rispetto alla crescita consistente dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato in somministrazione (a maggio sfiorano le 70 mila unità, il doppio rispetto all’anno precedente) si pone invece un altro tema da affrontare. Partiamo dal fatto che tali rapporti vengono attivati nella stragrande maggioranza per l’ordinaria gestione della produzione aziendale, diventando quindi un elemento strutturale nella composizione occupazionale delle imprese; se è così, allora la questione è – insieme a un progressivo ma necessario processo di stabilizzazione – evitare che i somministrati diventino il “polmone” aggiuntivo da staccare nel momento di difficoltà (riduzione commesse, crisi, ristrutturazione ecc.) o appena prima che esse si palesino. Ed è per questo che vanno attuati i meccanismi di ammortizzazione sociale previsti dalla normativa, per evitare le ristrutturazioni aziendali preventive. In sostanza, il perimetro aziendale e occupazionale dev’essere riconosciuto e considerato interamente come costituito da tutti coloro che direttamente e indirettamente partecipano e contribuiscono alla produzione.

Ovviamente, ciò deve avvenire anche quando, fuori dalla situazioni di difficoltà sono in ballo passaggi di livello e/o premi aziendali. In relazione a questo ultimo aspetto va considerata non solo la necessità del rispetto del fondamentale principio e diritto alla parità di trattamento tra diretti e somministrati, ma anche qualche altra motivazione. Se la torta del premio di secondo livello si riduce o rimane uguale a se stessa ma le fette distribuite si riducono, banalmente si è distribuito meno, anche se magari qualche lavoratore gioisce perché ha avuto di più; in sostanza la massa salariale che si muove rispetto all'impresa si è ridotta. Conseguentemente si riduce il potere negoziale del sindacato e dei lavoratori con conseguenti probabili ricadute future su tutti, iscritti e non, diretti e non. A gioire è solo l'impresa e non si creano le basi per la continuità della militanza nella nostra organizzazione. Se alcuni lavoratori non diretti, pur avendo partecipato alla produzione nello stesso modo, hanno preso la fetta più piccola o nulla del premio, perché mai dovrebbero iscriversi al sindacato?

Noi pensiamo che la contrattazione inclusiva e partecipata sia sostanzialmente semplificabile come il problema di rappresentare la complessità delle specificità contrattuali e delle diverse categorie dentro un ragionamento unitario: l’elemento della solidarietà tra lavoratori non deve essere vissuto solo come aspetto etico, ma anche come aspetto utile al miglioramento delle condizioni di ciascuno. In sostanza, se perdo pezzi perché il mio perimetro di categoria si riduce a favore di appalti terziarizzazione, somministrazione, o provo a rappresentare quella complessità in un'ottica confederale, oppure la prospettiva probabile per il sindacato e per i lavoratori è quella di un declino del potere negoziale e delle condizioni, magari più lento per alcuni (quelli della cittadella del core dell'impresa) più veloce per altri (coloro che stanno fuori dalla cittadella, somministrati, appalti, autonomi,ecc.).

Il caso Luxottica

In questo quadro si inserisce il caso Luxottica, paradigmatico dell’utilizzo che le imprese hanno fatto e fanno della flessibilità di manodopera in funzione delle norme. Da anni in Luxottica operano migliaia di lavoratrici e lavoratori in somministrazione: alcuni a tempo indeterminato derivanti dagli incentivi del 2015, altri sempre reiterati a tempo determinato. L’impresa è caratterizzata da forte cultura fideistica e aziendale, con uno storico sistema di welfare chiuso destinato ai dipendenti con elementi redistributivi importanti. In questi ultimi anni, molti lavoratori non sono stati rinnovati nonostante periodi lunghi di permanenza; per altri non sono state rinnovate le missioni; quasi tutti con il tratto comune della loro incompatibilità con la cultura aziendalistica imposta dall’impresa. La stessa retribuzione definita dagli accordi di secondo livello differenziava, e ancora differenzia, in modo significativo i trattamenti tra diretti e somministrati e l’attribuzione dei livelli di inquadramento è stata spesso penalizzante per gli interinali, in un quadro di ricatto implicito rispetto al rinnovo del contratto e della missione.

Pochi giorni fa, un accordo ha previsto che su circa 1.800 somministrati, 1.120 saranno stabilizzati con il criterio dell'anzianità, ma per gli altri 600 si prospetta il mancato rinnovo perché vicini alla scadenza dei 12 mesi. Con molta probabilità verranno sostituiti. La domanda è: c’è un’alternativa a quest'ultimo effetto? Noi pensiamo di sì. Un’azione sinergica e congiunta tra le categorie e le rappresentanze interne dirette e dei somministrati, condizione che lì non si è realizzata, avrebbe potuto valorizzare il successo di una stabilizzazione così importante, creando le condizioni per un’effettiva parità di trattamento sul premio di risultato – ristabilendo quindi un principio sancito dalla legge – e per porre il tema di quanti rimangono fuori dall'accordo; magari prevedendo il loro inserimento in bacini di utilizzo nell'indotto o nella stessa Luxottica in caso di nuove assunzioni. La costruzione, appunto, di una contrattazione inclusiva e partecipata, nel metodo e nel merito, avrebbe evitato di escludere una parte dei lavoratori da un’importante intesa e di sollevare l’impresa utilizzatrice, il gigante Luxottica, dalla responsabilità anche su coloro che saranno lasciati a casa e sostituiti da altri “vergini” dal punto di vista dell'anzianità aziendale, solo perché “figli” di un nuovo regime legislativo. Invece, così, si riproducono le condizioni precedenti di differenze salariali (in particolare su un tema delicato come la malattia) e di ricatto continuo, scaricando ancora una volta i costi sul sistema contrattuale della somministrazione. La consideriamo un’occasione persa.

La strada da percorrere verso la contrattazione inclusiva, su cui pure abbiamo prodotto come Cgil tanti documenti in questi ultimi anni e incardinato politicamente il congresso appena concluso, è ancora impervia e va sperimentata e praticata con coraggio da tutti i soggetti di rappresentanza senza involuzioni di chiusura verso percorsi contrattuali a oggi considerati inconsueti. Serve la volontà politica e la pratica negoziale delle categorie e della confederazione.

Andrea Borghesi è segretario generale Nidil Cgil
Davide Franceschin è segretario nazionale Nidil Cgil

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