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La stagione estiva entra nel vivo, con gli occupati negli alberghi, i lavoratori negli esercizi pubblici, i braccianti nei campi per le raccolte stagionali. Persone di cui non si parla quasi per nulla, nonostante siano il capitale umano che consente tante attività.
Dall’altra parte ci accompagna una raffica di dati sul mercato del lavoro italiano spesso letti e interpretati con toni trionfalistici. Ma a guardare bene, dietro alle istantanee che catturano numeri in continuo movimento si nasconde un’Italia che lavora “di più”, senza che questo significhi lavorare “meglio”, né vivere meglio. I dati infatti non raccontano tutto.
Crescita a giugno 2025
L’Istat a giugno 2025 ci consegna un’occupazione che cresce anche rispetto a giugno 2024 (più 363 mila occupati in un anno), per effetto dell’aumento dei dipendenti permanenti (più 472 mila) e degli autonomi (più 190mila) e del calo dei dipendenti a termine (meno 299 mila).
Questo aumento degli occupati riguarda gli uomini, le donne e chi ha almeno 50 anni, a fronte di una diminuzione nelle altre classi d’età. Gli occupati raggiungono quindi quota 24.326.000 e gli inattivi (15-64 anni) 12.200.000, il 63 per cento sono donne e quasi il 37 giovani 15-24.
Altri elementi di lettura dei dati: una popolazione lavorativa che invecchia, il tasso di inattività che è tra i più alti d’Europa, il divario relativo all’occupazione femminile che persiste e che vede il nostro Paese fanalino di coda dell’Unione europea, l’emigrazione giovanile per cercare all’estero prospettive migliori che ha assunto carattere strutturale.
Le assunzioni
L’osservatorio sul mercato del lavoro dell’Inps con i dati di marzo 2025 ci dice che le assunzioni attivate sono in calo del 6,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024 (1° trimestre): calano tutte le tipologie contrattuali, ma l’incidenza del part-time resta al 36 per cento. 20 assunzioni su 100 sono a tempo indeterminato, 80 su 100 avvengono con contratti non standard.
Oltre i dati
Guardando oltre i dati, resta un tabù qualsiasi riferimento alla qualità del lavoro che si traduce in dignità delle retribuzioni, valorizzazione delle competenze e delle professionalità e quindi qualità della formazione, stabilità e tutele. A questa analisi del mercato del lavoro è negata nei fatti cittadinanza nella discussione e nelle scelte del decisore politico e di governo per i settori privati e pubblici, per i dipendenti, gli atipici e gli autonomi diretti e in appalto.
Gli ultimi due atti estemporanei (ma non troppo) della maggioranza di governo, e cioè l’intervento sui crediti da lavoro e la somministrazione, poi stralciati dalla discussione, stanno lì a dimostrare questa mancanza.
Pnrr, risultati insufficienti
In un momento di disponibilità di risorse pubbliche senza precedenti, legate al Pnrr (4,9 miliardi di euro sono destinati alla riforma delle politiche attive, Missione 5, Componente 1), ci troviamo di fronte a risultati largamente insufficienti, soprattutto sul fronte dell’inclusione delle persone più svantaggiate nel mercato del lavoro. I dati relativi ai percorsi di Gol, garanzia di occupabilità dei lavoratori, mostrano che le donne rappresentano il 54,7 per cento dei beneficiari, i giovani under 30 sono solo il 30,4, le persone con disabilità appena il 4,5, i disoccupati di lunga durata il 28,2.
Formazione dove sei?
A fronte di questi numeri solo il 53,4 per cento del target ha ricevuto formazione, un terzo tramite tirocini, e solo il 61 per cento dei centri per l’impiego garantisce tutti i livelli essenziali delle prestazioni previsti. Undici regioni non hanno centrato gli obiettivi, mentre persistono gravi carenze nei collegamenti tra formazione, servizi per il lavoro e servizi sociali, soprattutto per i soggetti più fragili.
Troppi punti irrisolti
Anche sulle misure di contrasto al lavoro sommerso e povero restano troppi punti irrisolti: ispezioni, lavoro agricolo e domestico, definizione degli Isac, indici sintetici affidabilità contributiva, inseguono target europei e obiettivi quantitativi, ma non segnano punti di svolta.
La discussione sulle competenze è stata interamente piegata agli interessi delle imprese, senza attenzione alla qualità del lavoro e alla coesione sociale. Il Pnrr doveva essere un’occasione di svolta per un mercato del lavoro più equo, ma sta lasciando ai margini proprio coloro che avrebbe dovuto includere.
Per tutti ma non allo stesso modo
Un mercato del lavoro che a suon di record invecchia e si riduce, che si muove ma non per tutti e non per tutti allo stesso modo: donne, giovani, persone migranti, chi lavora nel meridione continuano a registrare tassi diversi dalle medie rispetto agli uomini, agli adulti, agli italiani e al Nord, vivendo segregazioni occupazionali, tra precarietà e lavoro povero, sottoccupazione e inattività.
Un bacino, quello degli inattivi, che insieme ai disoccupati il governo vuole raggiungere a suon di intelligenza artificiale, piattaforme e app, attraverso percorsi formativi e occupazionali “realmente richiesti dal tessuto produttivo”, l’unico interlocutore a cui si intende rispondere in assenza della volontà di compiere scelte su investimenti e politiche di sviluppo necessarie per orientare il futuro del Paese e quindi del lavoro.
"Se torturi i dati abbastanza a lungo, confesseranno… ma non sono sicuro che la confessione sia veritiera". Attribuito a Ronald H. Coase, economista britannico e premio Nobel per l’economia nel 1991
Maria Grazia Gabrielli è segretaria confederale Cgil nazionale