Non è una crisi industriale o finanziaria, e nemmeno una mera e brutale delocalizzazione. C’è qualcosa di più: è che non si crede più nel nostro Paese, nel nostro mercato, nelle nostre prospettive di crescita. E così la multinazionale giapponese Fujitsu, specializzata nei servizi ad alta tecnologia alle imprese (dall’intelligenza artificiale al cosiddetto “internet delle cose”), ha annunciato di lasciare l’Italia a partire da aprile e si avvia a licenziare i suoi 200 dipendenti di Milano (150) e Roma (50). La notizia è arrivata ai primi di marzo: il colosso asiatico ha varato un piano di riorganizzazione globale che declassa alcuni Paesi. L’Italia, assieme alla Grecia e alla Repubblica Ceca, è tra questi. Una situazione molto complicata, dunque, che vedrà oggi (martedì 16 aprile) lo sciopero di due ore dei dipendenti, con presidio e flash-mob a Milano, alle ore 10.30 in piazza San Babila.

Una prima azione di protesta si è svolta, sempre a Milano (in piazza della Repubblica), il 13 marzo scorso. I lavoratori (tutte alte professionalità nel campo dell’information technology) si sono radunati sotto la sede del consolato giapponese, indossando una pettorina rossa con la scritta “Fujitsu chiude”. Una delegazione di esponenti Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil ha incontrato il viceconsole, rappresentando la situazione e chiedendo un impegno per il futuro delle filiali italiane e dei suoi dipendenti. Per ora non sono arrivate rassicurazioni, e grande è la preoccupazione del personale. I sindacati, spalleggiati dalla Regione Lombardia, chiedono intanto l'apertura di un tavolo al ministero dello Sviluppo economico.

“Il 4 marzo abbiamo annunciato che concentreremo le nostre risorse dirette nei mercati che più supportano la nostra idea di crescita basata sui servizi ad alta tecnologia”. Questa la posizione della Fujitsu, espressa in un breve comunicato indirizzato all’inserto tecnologico del Corriere della Sera: l’Italia è giudicata non più attrattiva, il nostro mercato non gode più della fiducia internazionale, mentre continuano a esserlo non solo quelli di Francia e Germania, ma anche di Spagna e Portogallo. L’obiettivo della multinazionale giapponese è di far crescere il margine di profitto, entro il 2022, dall'attuale 5 al 10 per cento. “Il nostro piano avrà un impatto su entrambe le sedi”, ha aggiunto la società di Tokyo, precisando di essere “comunque interessata a mitigare l'impatto sociale di questo cambiamento attraverso il dialogo con i sindacati e le autorità competenti”.