Ci vuole passione per continuare a lavorare all'Aias, il colosso sardo dell'assistenza sanitaria, dopo undici mesi senza stipendio. Senza, non si potrebbe nemmeno fare un mestiere così: la cura delle persone disabili e non autosufficienti richiede empatia e coraggio, sensibilità e forza. Gli stessi requisiti ci vogliono per combattere una battaglia estenuante, nella quale licenziano i tuoi compagni di lavoro solo perché da sindacalisti hanno difeso i colleghi, oppure rischi sanzioni se partecipi a una manifestazione per dire che no, se continua così la spesa non la puoi più fare, figurarsi pagare il mutuo, i libri di scuola, la rata dell’università.

Nel 2017 la Digos ha fatto rimuovere le telecamere orientate verso l’ingresso della sede in viale Poetto, a Cagliari: i lavoratori in presidio sentivano minata la loro libertà. Michele Serra, sindacalista Cgil, è stato licenziato per aver denunciato sui giornali la grave situazione di disagio vissuta dai lavoratori: il tribunale del lavoro ha annullato il licenziamento. Le circolari interne rivolte ai lavoratori che osano alzare la testa – ad esempio chi fa azioni legali per recuperare gli stipendi non pagati o invoca il pagamento diretto della Regione – sono un trattato sull’arroganza e la pratica quotidiana di chi non rispetta diritti minimi. In questi giorni il presidente Aias Anna Paola Randazzo ha firmato un ordine di servizio: i dipendenti sono obbligati a comunicare l’adesione allo sciopero della fame e a presentare un certificato medico prima di rientrare a lavoro, altrimenti verranno segnalati alle autorità competenti.

Marinella, Paola, Maurizio, Luigi e gli altri non sembrano persone da segnalare alle autorità, esprimono piuttosto un profondo disagio e una grande forza d’animo. Con le sdraio da spiaggia piazzate sotto gli uffici dove si decide cosa fare della sanità in Sardegna, pur di farsi sentire si sono messi a digiuno, 72 ore e poi passeranno il testimone ad altri colleghi. Sono preoccupati ma non piegati, vogliono vincere la battaglia. “Siamo masochisti!” dice qualcuno strappando un sorriso, ché un po' di ironia ci vuole nonostante tutto. La serietà sta nelle ragioni che li inducono a perseverare: “Se non lo faccio io, che ho trent’anni di servizio e le spalle più larghe dei precari o dei giovani assunti chi farà tutto questo?” Mai pensato di mollare? “Tante volte ma amo il mio lavoro e non smetterò di difenderlo”.

Altro che passione e dedizione. Dai lavoratori si è preteso silenzio e fiducia incondizionata: lo hanno imposto i vertici Aias e la politica non ha mai fatto nulla di concreto per evitare che ciò avvenisse, nonostante le risorse pubbliche spese per i servizi in convenzione. Così il sistema ha continuato a vivere di regole proprie, sforando nei budget per poi rivendicare crediti milionari.

In Sardegna Aias vuol dire Randazzo. Una famiglia che dal secolo scorso ha il (quasi) monopolio dei servizi di assistenza ai disabili, non autosufficienti e sofferenti mentali. Il fondatore, oltre cinquant’anni fa, è Bruno Randazzo, consigliere regionale e deputato democristiano. Nel 2012 ha lasciato in eredità ai figli un ricco bacino elettorale e il gigante Aias: Alberto, consigliere regionale per tre legislature con Udc e Forza Italia, Vittorio, anche lui ex consigliere regionale Udc e attuale direttore amministrativo dell’Aias, con al vertice la sorella Anna Paola Randazzo. Poi c’è la Fondazione intitolata alla figlia Stefania, presieduta da un’altra sorella, Alessandra, custode di un importante patrimonio immobiliare.

E c’è un passato che riaffiora in rete. C’è l’inchiesta – risolta con assoluzione in Cassazione - per appropriazione indebita sull’uso di 10 miliardi per l'acquisto di alcuni immobili e altri 30 per realizzare diverse opere pubbliche tra gli anni Ottanta e Novanta. Altri tempi, al timone c’era il fondatore che, a sentire i dipendenti oggi, aveva una marcia in più rispetto ai figli rimasti. Ci sono gli agghiaccianti particolari dell’indagine sui maltrattamenti subiti dai pazienti nel centro di Decimomannu: dei vertici Aias viene condannata a quattro anni e mezzo in primo grado la direttrice Sandra Murgia, assolto il direttore amministrativo Vittorio Randazzo perché non poteva sapere. Lo scorso agosto invece, i carabinieri perquisiscono le sedi di Cagliari, Domusnovas, Cortoghiana, Monastir e Decimomannu per una verifica sui livelli essenziali di assistenza. E la Guardia di Finanza acquisisce bilanci e documenti contabili: l’inchiesta per peculato, senza indagati, ha l'obiettivo di accertare l'uso dei fondi pubblici incassati da Aias.

Quarantatré centri in tutta la Sardegna e, recita il sito internet, 3.500 assistiti e 1.615 prestazioni al giorno. “L’associazione – si legge online – agisce nello spirito del volontariato, non ha scopo di lucro e persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale”. Negli ultimi cinque anni, secondo la Commissione di inchiesta del Consiglio regionale, ha ricevuto dalla Regione 107 milioni e 486 mila euro, a fronte di un credito residuo accertato di euro 1 milione 697 mila che, sostiene la relazione scaturita dall’inchiesta, “non può giustificare l'attuale situazione caratterizzata dal ritardo nel pagamento di circa 11 mensilità nei confronti dei dipendenti”.

Nel corso degli anni sono state innumerevoli le vertenze sindacali per il mancato pagamento degli stipendi, che Aias ha sempre giustificato ribaltando le responsabilità sui crediti milionari vantati con la Regione. In sostanza, l’associazione sostiene che se i servizi in convenzione non vengono saldati, gli stipendi non si possono pagare. C’è da chiedersi allora perché le ingenti risorse individuate dall’inchiesta consiliare non siano ancora arrivate nelle tasche dei lavoratori che hanno continuato, con responsabilità, a garantire i servizi.

Nel frattempo, per la Procura della Repubblica di Cagliari l'Aias sarebbe insolvente a causa dell'eccessivo peso dei debiti e nei giorni scorsi il sostituto procuratore di Cagliari Daniele Caria ne ha chiesto il fallimento. I legali di Aias sostengono che siccome non ha fini commerciali e scopi di lucro non può essere assoggettata a una procedura fallimentare. Da qui il ricorso e la richiesta di accedere a un concordato preventivo. Funziona così: i lavoratori continuano ad aspettare stipendi arretrati e soluzioni definitive, l’Aias ha 60 giorni per depositare un piano di ristrutturazione credibile.

E in tutto questo, la maggioranza di centro-destra al governo della Regione che fa? Uno dei primissimi atti del presidente Christian Solinas – prima ancora che nominasse la squadra di Giunta e svolgesse il suo discorso programmatico davanti al Consiglio regionale – è stato bloccare le procedure amministrative per le selezioni di Sas Domos, la società sperimentale costituita dalla vecchia Giunta di centro-sinistra per ridisegnare la gestione e l’offerta dei servizi, affidandoli sia al servizio sanitario pubblico che ad altri operatori, garantendo i pazienti, i dipendenti e l’uso corretto dei soldi pubblici.

L’assessore regionale alla Sanità Mario Nieddu ce la sta mettendo tutta per scansare il macigno crollatogli addosso fin dalla sua nomina: dialoga con i sindacati, si mostra solidale con i lavoratori in lotta sotto il suo ufficio e promette soluzioni strutturali. Quali siano non le svela ancora, ma nessuno, al momento, può permettersi di pensare che non ce l’abbia davvero questo asso nella manica. Nel frattempo, afferma che la Regione non possa saldare gli stipendi direttamente, fa sapere che gli uffici stanno conteggiando le fatture Aias di luglio e che occorre capire gli sviluppi della procedura fallimentare e del piano di ristrutturazione che Aias dovrebbe presentare al Tribunale entro il 9 dicembre.

Il prossimo capitolo si aprirà lunedì 28 ottobre sul tavolo della prefettura, con l’assessore e i sindacati. Come se non bastasse, c’è da capire cosa accadrà con i decreti ingiuntivi e i potenziali pignoramenti sulle risorse pubbliche ancora ferme nelle casse della Regione. Ieri intanto, il segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini, in Sardegna per l’assemblea regionale dei quadri e delegati, è andato a stringere la mano ai lavoratori in lotta insieme al segretario regionale Michele Carrus: “Sappiate che non siete soli – ha detto Landini –. La vostra battaglia è un simbolo di perseveranza e coraggio nella lotta per difendere diritti e dignità contro l’arroganza del potere, che sia quello dell’Aias o di chiunque altro”.