Un trasferimento quasi forzato e pochi margini di scelta. È questa la situazione che stanno affrontando i dipendenti della Fiac di Pontecchio Marconi (Bologna), impresa ingegneristica impegnata da oltre quarant'anni nello sviluppo di soluzioni di aria compressa. “Lo scorso anno l'azienda ci aveva annunciato lo spostamento della produzione in Piemonte”, spiega Michele Bulgarelli della Fiom Cgil di Bologna: “Come nel caso della Kemet, non possiamo però accettare altri sacrifici occupazionali ai danni degli operai emiliani”.

La Fiac, fondata nel 1977, è oggi leader dei produttori di compressori d'aria, con quattro linee di prodotti: compressori a pistone, rotativi a vite, accessori dedicati e trattamenti dell'aria. Al momento l'azienda dà lavoro a circa 180 persone, ma le circostanze sono cambiate e il futuro dei dipendenti è più incerto che mai. Il management della Fiac, controllata dal gruppo svedese Atlas-Copco dal 2016, ha infatti altri piani.

“A maggio 2020 – continua Bulgarelli – la società ha incontrato i sindacati per definire i tempi della ripresa riproduttiva. Durante il vertice ci hanno invece annunciato che, a partire da luglio, tutta la produzione dello stabilimento di Pontecchio Marconi sarebbe stata trasferita a Robassomero (Torino). In sostanza, una maniera per aggirare i licenziamenti”. La reazione delle parti sociali e dei dipendenti è stata dura: 20 ore di sciopero e presidio permanente davanti alla fabbrica. A luglio si è poi arrivati a un accordo, con l'impegno dei vertici della Fiac a non spostare la produzione fino a giugno 2021 e la promessa di trovare soluzioni alternative.

“Lo scorso autunno abbiamo coinvolto il ministero dello Sviluppo economico e la regione Emilia-Romagna per parlare di nuovi investimenti e sostegno pubblico”, aggiunge il segretario Fiom Cgil Bologna: “L'azienda ha disponibilità economiche, ma non sono interessati. È stato come sbattere contro un muro di gomma”. Secondo Bulgarelli, dietro le pressioni per spostare la produzione e il fatto che la Fiac dichiari 8 milioni di perdite annue, si nasconderebbe un'altra intenzione: delocalizzare in Cina o in altri mercati asiatici. Inoltre la proprietà ha detto no alla manifestazione d'interesse pervenuta qualche tempo fa, quando si ipotizzava la vendita della società.

Nel corso dell’incontro di gennaio con la direzione aziendale sono state presentate le richieste del sindacato, sostenute dal voto all’unanimità delle assemblee dei lavoratori. Ma i dirigenti della Fiac non hanno reagito bene e ci sono state parecchie divergenze. Di conseguenza, il 15 febbraio è partita la mobilitazione. Gli operai hanno scioperato per tre ore (dalle 9 alle 12) insieme al presidio organizzato dai lavoratori e dalle lavoratrici della Kemet, azienda di zona alle prese con esuberi ed eccedenze. Da martedì a venerdì c'è stata un'ora di stop al giorno, mentre dalla prossima settimana le ore di sciopero diventeranno due.

L’incontro ha segnato l’avvio del negoziato, ma le parti sono lontane e le distanze abbastanza significative. “Noi chiediamo una serie di garanzie per i dipendenti, articolate in otto punti già illustrati ai dirigenti della Fiac”, conclude Bulgarelli: “L'introduzione di una clausola anti-delocalizzazione delle produzioni realizzate a Pontecchio, un anno di cassa integrazione straordinaria, maggiori garanzie per i lavoratori della Fiac Pac (Fiac professional air compressors), un contributo economico per chi sceglierà di trasferirsi in Piemonte. Inoltre auspichiamo l'intervento di Fiac sulla coop di logistica per evitare licenziamenti o esuberi, tutele per i lavoratori in somministrazione (ex interinali) e la ricollocazione dei lavoratori nel mercato del lavoro. Chiediamo, infine, di mantenere tutti i diritti e l'anzianità di servizio dei dipendenti”.