Per il quinto anno consecutivo, secondo quanto rilevato dai dati Istat relativi al 2018, aumentano gli occupati a livello nazionale: +192 mila. Tuttavia, in percentuale l’aumento è meno consistente di quello registrato nei due anni precedenti: si passa infatti dal +1,3% e +1,2% rispettivamente del 2016 e 2017 al +0,8% del 2018. Ed è significativo che sia in particolare l’ultimo trimestre dell’anno ad abbassare la media annua, con un aumento di appena lo 0,4% sullo stesso trimestre dell’anno precedente. Restiamo comunque al di sopra, seppure di poco, al dato precrisi.

L’aumento degli occupati assorbe una quota importante di disoccupati, che segnano una riduzione di una certa consistenza, sia in valore assoluto che in percentuale, anche se rimane oltre un milione di disoccupati in più rispetto al 2008. In pratica, non è stata trovata occupazione per una quota quasi corrispondente all’aumento totale della forza lavoro registrato negli ultimi dieci anni: circa 1,2 milioni di persone.

Sempre dai dati Istat si apprende che, dopo la battuta d’arresto registrata nel terzo trimestre 2018, riprende il calo degli inattivi, che è ancora più significativo se consideriamo la tendenza all’invecchiamento della popolazione. Riferendoci infatti soltanto alla popolazione in età lavorativa (15-64 anni), la riduzione percentuale dell’ultimo anno passa da -0,3% a -0,9%, mentre nel confronto su base decennale l’aumento dell’1,5% si rovescia in una riduzione pari a -7,6%. Dunque, una maggiore propensione della popolazione che ha le condizioni per farlo a stare dentro il mercato del lavoro è sicuramente una delle tendenze caratterizzanti gli ultimi anni. Non sembra che tale trend sia da mettere in relazione all’interruzione anticipata dei percorsi scolastici, visto che tende invece ad aumentare la quota di giovani di 15-24 anni che si riconosce nella condizione di studente.

L’aumento degli occupati registrato nell’ultimo anno riguarda più o meno nella stessa misura la componente maschile e quella femminile, mentre resta nel confronto decennale decisamente più rilevante per le donne. Dal punto di vista della posizione professionale, si conferma la tendenza di lungo periodo alla riduzione del lavoro indipendente. Dunque, tutta la crescita occupazionale è concentrata, anche nell’ultimo anno, sul lavoro dipendente.


L’occupazione cresce nell’ultimo anno in tutti i settori, anche se in modo molto disomogeneo, tranne che in quello delle costruzioni, del resto il più penalizzato fin dall’inizio della crisi. È viceversa particolarmente significativa la crescita occupazionale nell’industria in senso stretto, ancorché largamente insufficiente a recuperare la perdita dell’ultimo decennio. Continua l’aumento occupazionale dei cosiddetti “altri servizi”, un macrosettore costruito per esclusione, ma che da tempo rappresenta il contenitore occupazionale non solo più consistente, ma anche maggiormente in crescita.


Nell’ultimo anno risulta in lieve contrazione a livello nazionale la quota di occupati a tempo parziale. Non accadeva dal 2009, anno nel quale peraltro calò anche l’occupazione a tempo pieno. Negli anni successivi la crescita fu imponente, tanto che nel confronto su base decennale essa si attesta ancora, nonostante il modesto arretramento registrato nel 2018, a oltre il 30%. Va rilevato inoltre che circa i tre quarti degli occupati part time (il 73,5%) restano donne, anche se la tendenza è a un maggior ricorso a questo tipo di rapporto di lavoro anche nella componente maschile.


Dal punto di vista del carattere dell’occupazione, si conferma ancora una volta la crescita del lavoro a tempo determinato a scapito di quello a tempo indeterminato. In valori assoluti, la crescita degli occupati a tempo determinato registrata nel 2018 è la più alta di sempre a livello nazionale. Calano contestualmente i dipendenti a tempo indeterminato, come non accadeva dal 2013. La somma di questi due andamenti fa sì che la quota degli occupati a termine sul totale dei lavoratori dipendenti raggiunga la percentuale record del 17%: nel 2008 era del 13,3%.


Anche nel 2018 è quella dai 35 ai 44 anni di età la fascia più penalizzata a livello nazionale, ma ritorna in negativo anche quella dai 25 ai 34 anni, dopo la lieve e momentanea inversione di tendenza del 2017. Continua viceversa la crescita degli occupati nelle fasce d’età più anziane, in particolare quelle superiori ai 55 anni. È ovvio come questo fenomeno sia da mettere per gran parte in relazione all’innalzamento dei requisiti per l’accesso alla pensione.


L’andamento dei principali tassi conferma nel 2018 quanto già visto nel 2017: tasso d’attività e di occupazione in crescita, anche se questa crescita è un po’ più contenuta rispetto a quella dell’anno precedente; tassi di disoccupazione e mancata partecipazione in ulteriore calo. Si noti però che mentre il tasso di occupazione è tornato sostanzialmente ai livelli precrisi, quello di disoccupazione è ancora lontano da quei valori: questo è anche conseguenza del contestuale già rilevato innalzamento del tasso di attività.

Colpisce infine l’estrema disomogeneità con la quale l’incremento medio nazionale degli occupati è distribuito tra le Regioni e le Province. Non siamo da questo punto di vista in presenza della classica divaricazione tra l’andamento del Nord e quello del Sud del Paese. Anzi, le regioni che aumentano maggiormente gli occupati in termini percentuali appartengono tutte al Centro e al Sud d’Italia. L’Emilia Romagna, che tra tutte vanta la maggiore crescita in valori assoluti, è soltanto settima in termini percentuali.

Anche i settori nei quali si concentra maggiormente la crescita occupazionale sono estremamente diversificati: mentre nelle Marche gli occupati crescono soprattutto tra i lavoratori dipendenti dell’industria, nelle altre regioni nelle quali la crescita è più marcata, essa si concentra prevalentemente nel terziario. Sembra insomma, ma è un’ipotesi che andrebbe ulteriormente verificata e confermata dalla ricerca sul campo, che i fattori territoriali abbiano avuto, nel corso dell’ultimo anno, molto più peso che in passato nel determinare gli specifici andamenti, così che i saldi occupazionali nazionali si presentano come la risultante di un quadro particolarmente differenziato tra regioni e province.

In conclusione, l’andamento del mercato del lavoro fotografato dai dati Istat per il 2018 presenta ancora una tendenza positiva, anche se in attenuazione rispetto agli anni precedenti. Lo stock di disoccupati rimane tuttavia, benché in calo, ancora superiore a un milione di unità: il sistema economico non riesce ad assorbire la forza-lavoro aggiuntiva, derivante negli ultimi anni soprattutto da un maggiore tasso di attività.

Non solo. Il fatto che il numero totale degli occupati sia tornato sui livelli di prima della crisi (anzi, leggermente superiore) non deve nascondere che siamo in presenza di un universo con una composizione molto diversa dal passato: con un maggior peso della componente femminile; con una forte riduzione del lavoro autonomo a favore di quello dipendente; con una marcata concentrazione sui settori terziari, anche se nell’ultimo anno l’industria ha un po’ recuperato; con una vera e propria esplosione del lavoro a tempo determinato e a part time; con uno spostamento verso l’alto dell’età media di chi lavora. Senza dimenticare la forte disomogeneità degli andamenti del mercato del lavoro nei diversi ambiti territoriali.

Il quadro insomma è quello di un mercato del lavoro in profonda trasformazione e che mantiene e anzi accentua, nonostante alcuni indicatori positivi, diversi elementi di strutturale fragilità. Alla vigilia di una fase economica certamente meno positiva di quella degli ultimi anni.

Giuliano Guietti è presidente dell’Ires Emilia Romagna