È un gioco sporco, il solito gioco sporco perpetrato ai danni dei lavoratori in appalto. Mettere gli uni contro gli altri, concedere qualcosa a qualcuno e a qualcun altro no. La Cgil lo gridava già vent’anni fa, “stesso lavoro, stessi diritti”. Allora forse nessuno avrebbe potuto immaginare, se non il sindacato, quanto sarebbe diventata profonda la frattura nel mondo del lavoro, la divisione tra serie A e serie B, il ricatto sui diritti.

E da allora di vertenze, di lotte senza fine, di coraggio e resistenza, ne abbiamo raccontate, facendo la cronaca delle mille crisi spuntate ovunque lungo la grande depressione post 2008 e rinnovatesi poi con l’emergenza sanitaria, le guerre, l’inflazione a due cifre, fino ad arrivare ai nostri giorni. 

Succede così anche negli appalti dello stabilimento bolognese della Philip Morris, scossi da una lotta che da due giorni tiene in presidio gli addetti alla pulizia. L’azienda in questione è la Iss Facility. “La protesta – ci spiega Daniela Dessì, funzionaria della Filcams Cgil provinciale, che qui ha 80 iscritti sul centinaio di persone coinvolte nella vertenza – nasce dal fatto che Philip Morris ha diversi appalti. La ristorazione, le pulizie, il facchinaggio. Al facchinaggio è stato appena accordato un integrativo da 1800 euro, alle pulizie l’anno scorso venne riconosciuto un premio fisso di 1200 euro, un riconoscimento che nasceva dal fatto che il sito è dislocato a 25 km da Bologna, che il reparto è sotto organico e che il personale non si trova, nonostante il lavoro sia essenziale: questi addetti fanno pulizia e sanificazione delle macchine che producono le Iqos, sulle quali i vapori generano persino muschio. Questi lavoratori sono sulla piattaforma, esposti agli odori del tabacco. Sono tanti i disagi che devono sopportare”. 

Eppure, ci spiega Daniela Dessì, “sollecitiamo l’azienda dapprima per il recupero di spettanze dovute e non pagate da circa tre anni, come il cosiddetto premio presenza, parzialmente recuperati solo negli ultimi mesi. Chiediamo formazione puntuale e certificata, anche su temi afferenti alla salute e sicurezza, anche in considerazione delle tante segnalazioni già evidenziate all’azienda su questi temi, ancora inevase da parte di ISS Facility che continua a erogare la formazione via cellulare. E in sede di trattativa per il rinnovo del premio che doveva diventare integrativo, il premio fisso sparisce e diventa variabile, ancorato alla presenza. Se sei in maternità facoltativa, tanto per capirci, i soldi non li prendi. In tutto l’offerta è di 750 euro”.

La sindacalista non fa alcuna fatica a dirci che “siamo rimasti basiti. Parliamo di persone che lavorano ogni giorno a tempo pieno fianco a fianco con gli operai alle dirette dipendenze di Philip Morris, ma prendono circa la metà. Chiediamo la conferma di quote di salario aggiuntive garantite, previste nell’accordo in scadenza alla fine di quest’anno e rispediamo al mittente la controproposta inaccettabile: 15 euro a partire dal primo gennaio 2027. O, peggio, controproposte che hanno più il sapore della provocazione che della alternativa negoziale, come ad esempio la ‘possibilità di scegliere’ tra quote di salario fisso aggiuntive a partire dal 2027 o quote di salario variabili, con obbiettivi prevalentemente calibrati sulla presenza dei lavoratori, discriminando anche il diritto alla genitorialità”.

E così, stufi di promesse mancate, di giri di parole, di scelte rinviate in eterno, eccoli tutti qui, circa il 95% dei 100 lavoratori, per essere precisi, con le braccia incrociate da due giorni davanti ai cancelli dell’azienda, nonostante il freddo di dicembre. Prima lo stato di agitazione, poi lo sciopero, anche degli interinali del Nidil. Una protesta che si annuncia a oltranza.

“Dall’azienda tutto tace, speriamo nella saggezza della Philip Morris. Chiediamo che l’attuale premio variabile diventi indipendente rispetto alla presenza e sia più alto”. 

Come se non bastasse, per chiudere il quadro, “la maggior parte dei lavoratori sono inquadrati nei livelli più bassi: gli unici che hanno un livello più alto sono 38 uomini e appena due donne. Nonostante questo vorrebbero anche la certificazione della parità di genere. Sono tutti chiacchiere e distintivo”, è la denuncia della sindacalista. 

Ci sarà da attendere e da lottare per vedere quale sarà, alla fine, il colore della fumata. I lavoratori sono pronti a resistere. L’azienda dovrà farci i conti.