Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera, Bagnoli: nomi di fabbriche dal nord al sud dell’Italia dove l’amianto, nell’arco di decenni, ha mietuto vittime: gli operai che lo respiravano negli stabilimenti, ma anche le loro mogli e i figli, cui i lavoratori ignari portavano a casa la polvere omicida. Oltre duemila morti di amianto, e altri 800 ammalati. Oggi, 10 ottobre, la procura di Torino ha chiesto il rinvio a giudizio per due imputati, un tempo ai vertici della multinazionale Eternit: lo svizzero Ernest Schmidheiny e il belga Jean Louis Marie Ghislain De Cartier De Marchienne. Dovranno rispondere di disastro doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche per i decessi legati alle polveri di amianto respirate negli stabilmenti e per la morte di chi risiedeva nelle aree circostanti. Le contestazioni dolose sono dovute al fatto che, secondo la procura di Torino, pur essendo a conoscenza dei rischi connessi con le polveri di amianto, i responsabili non avessero adottato adeguate misure di sicurezza.

Il procuratore Raffaele Guariniello, dopo aver esaminato i 200 faldoni dell’indagine, ha dunque pronunciato accuse pesanti: gli imputati sapevano, ma non fecero nulla. Oltre 2.800 persone, vittime di mesoteliomia, asbestosi e tumori polmonari.


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La storia della Eternit di Casale Monferrato
Quando la verità è venuta a galla, i giornali l’hanno ribattezzata “la fabbrica del cancro”; in principio era soltanto lo stabilimento della Eternit a Casale Monferrato (Alessandria). La sua storia inizia ai primi del Novecento, quando l’intero paesino piemontese diventa grato ai padroni – imprenditori svizzeri, ma nessuno li ha mai visti - per aver fornito lavoro a gran parte della popolazione locale; che inizia la produzione di materiale in cemento, soprattutto tubature, senza fare troppo caso alla “polvere” presente in quantità innumerevole sui luoghi di produzione. La “polvere” era in realtà costituita da fibre d’amianto, che s'infiltravano progressivamente nei polmoni degli operai e di tutti gli abitanti provocando una serie di sintomi, tra cui soprattutto difficoltà respiratorie, prima generiche poi sempre più acute, fino alla morte per soffocamento. Il resto è una storia tristemente prevedibile: i primi tumori ai danni degli operai, lo scoppio della vera e propria epidemia, circa duecento denunce, il processo.

Come sempre in questi casi, la realtà dei fatti emerge nella sua interezza solo progressivamente, quando la tragedia è ormai compiuta: il fallimento dell’Eternit risale al 1986, i dirigenti furono trascinati in aula soltanto nel 1993.

Oltre dieci anni fa si tenne il grande processo contro la Eternit, autentico evento per la zona, seguito da vicino dagli occhi dell’opinione pubblica; un ex operaio che aveva contratto un tumore si trovava ormai in fase terminale, ma scelse di testimoniare nonostante la parziale incapacità respiratoria. E’ rimasta famosa la sua immagine, mentre varca la soglia del tribunale portato in barella; morì circa una settimana dopo. Molti altri, invece, accolsero il risarcimento dei vertici aziendali: una cifra stimabile in cinque miliardi complessivi per chiudere la questione, tenersi i polmoni bianchi ed i parenti scomparsi senza pensarci più.