Se c’è una cosa che la tragedia di Brandizzo può aiutarci a capire, è come evitare che il mix tra un modello organizzativo non all’altezza e tutto concentrato su sfruttamento e profitti, una competizione malata giocata sui costi e una tecnologia non adeguatamente utilizzata possano portare a sciagure come quella capitata pochi giorni fa. “Sono anni che registriamo e denunciamo situazioni in cui solo il caso e molta fortuna hanno evitato altre stragi su strade e linee ferroviarie come quella di Brandizzo”, attacca Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea Cgil che incontriamo alla vigilia dello sciopero che lunedì 4 settembre vedrà insieme i lavoratori edili e dei trasporti. Per Genovesi “questa deve dunque essere l’occasione per rimettere in discussione tutto il sistema delle manutenzioni e i modelli di business che vi sono dietro”.

Non solo quelle ferroviarie, dunque…
Assolutamente no. Tra l’altro, come ha giustamente ricordato anche Stefano Malorgio, segretario generale della Filt Cgil, siamo in una fase nella quale, grazie alle risorse disponibili con il Pnrr, con il fondo complementare e con gli accordi di programma, il numero delle manutenzioni ordinarie e straordinarie, anche sulle reti stradali o nelle manutenzioni di porti e aeroporti, è cresciuto tantissimo e questo trend continuerà almeno per i prossimi quattro o cinque anni.  

Quanti lavoratori sono impegnati in queste opere?
Stimiamo che siano circa 20 mila, tra ferrovie, strade e autostrade, porti e aeroporti. Molti dei quali – tanto per ricordarci il recente passato – hanno lavorato per esempio anche durante il Covid per garantire la tenuta delle nostre infrastrutture. Quegli operai e tecnici sono gli stessi che sin dalle prime ore, dopo un terremoto o un’alluvione, lavorano per gli interventi di ripristino legati all’urgenza. Sono quelli che lavorano molto spesso di notte, che vediamo quando rientriamo a casa, magari dopo una cena con gli amici. L’ammodernamento e la messa in sicurezza delle nostre infrastrutture, spesso vecchie o insufficienti, cammina sulle gambe di questi lavoratori. Eppure di fronte al “tanto” che si sta facendo e si dovrà fare in termini di manutenzione, al contempo i piani industriali dei grandi player come Rfi o Società Autostrade prevedono, contemporaneamente, di aumentare i mezzi in circolazione. Questo è il vero tema. Questo fa sì che si prevedano tempi di interruzione della circolazione sempre più bassi e pressioni sugli ultimi anelli della catena, indipendentemente se lavoratori interni o delle ditte in appalto. Chiunque di noi viaggi su strada o in treno vede spesso decine di operai in attesa del passaggio di quello che pensano essere l’ultimo treno o l’ultimo tir dopo il quale mettersi al lavoro. Sembrano quasi dei centometristi pronti allo scatto. Ma il lavoro e la vita non sono una gara… Per capirci do un dato su tutti che deve farci riflettere. Fino a qualche anno fa per intervenire su 10 metri di binario i tempi di interruzione della circolazione erano tra le 5 e le 6 ore, oggi sono ridotti a meno di 3. 

Cosa comporta tutto ciò?
Beh, è semplice. Si stressano in maniera talmente abnorme i tempi, si “velocizzano” procedure e, spesso, ci si gira da un'altra parte se magari quel giorno manca qualche operaio di quella squadra (che spesso è già al minimo) o non si controllano le qualifiche, le competenze di chi materialmente sta operando. Il tutto crea un clima di pressione sia sugli ultimi anelli di controllo sia sui lavoratori della manutenzione in appalto che possono produrre errori di valutazione, comunicazione e così via. Ma questo – lo ripeto – è frutto di un preciso modello produttivo e organizzativo: e una conseguenza inevitabile è lo sfruttamento e l’aumento del rischio di infortuni.

I lavori di manutenzione sono ormai appaltati e subappaltati in grandissima percentuale, tra l’altro…
Sì, e questa è la seconda questione che si somma a quella organizzativa e di modello di business. È il tema della fragilità delle imprese della filiera, del ricatto (anche non esplicito) insito nella logica del risparmiare a tutti i costi su lavoro e qualità: chi si rifiuta di realizzare i lavori nei tempi stabiliti dal committente (per non dire degli importi) può essere facilmente sostituito da un’altra azienda che invece li accetta, essendo la competizione sul mercato molto spinta. Insomma: è la logica del profitto “irresponsabile” che negli anni ha portato a esternalizzare sempre di più, anche in settori come quelli delicati del trasporto che, ricordo, oltre a essere un driver di competizione e sviluppo necessario è anche un presidio di diritti pubblici. Nel caso di Brandizzo l’appalto di Rfi era in un accordo quadro con l’appaltatore Cfl, che poi ha subappaltato all’azienda in cui lavoravano le vittime di questa tragedia. 

Rfi però non fa gare al massimo ribasso…
Vero. Però qui il nodo è il controllo effettivo e sostanziale della filiera. L’azienda che a sua volta subappalta il lavoro, perché lo fa? In qualche modo deve guadagnarci, non è certo una dama di carità e il guadagno può essere solo sui costi. Quella che va controllata, ad esempio, non è solo l’applicazione del contratto nazionale di lavoro edile, ma anche che il livello di inquadramento dei lavoratori sia quello giusto. Da quello che ci risulta i poveri operai di Brandizzo non erano tutti inquadrati al terzo e quarto livello – quello degli operai specializzati, adeguato a un lavoro così delicato – ma alcuni al secondo. È qui che, per esempio, avviene quel risparmio sui costi su cui l’azienda fa profitto. Oppure, banalmente, con squadre sotto organico o con lavoratori che stanno alla decima, undicesima ora di lavoro, con tante voci strane nelle buste paga... Da questo punto di vista sono certo che la prima interessata a rafforzare controlli e procedure sia proprio Rfi e per questo deve cambiare non solo il modello organizzativo, tempi e carichi, ma di conseguenza la sostanza pratica degli accordi di programma. Perché con l’allungamento della filiera – appalto, subappalto, subappalto del subappalto, ecc. – è chiaro che aumentano come minimo “le zone grigie”. Per non dire altro.

Eppure il nuovo Codice degli Appalti ha introdotto proprio la liberalizzazione dei livelli di subappalto, il cosiddetto “subappalto a cascata”.
Infatti. Si dice che il coccodrillo “lacrima” come conseguenza dell’aver appena sbranato una preda. Ecco io penso che mai come oggi per aumentare la sicurezza dei lavoratori, proteggerne la vita e la qualità di quello che fanno, sarebbe servito e servirebbe introdurre il divieto di subappalto a cascata nei lavori e nelle attività private. Invece questo Governo dal 1° luglio ha liberalizzato i subappalti anche nei lavori pubblici. Noi siamo scesi in piazza il 1° Aprile e continueremo a protestare. Soprattutto, però, con vertenze e contrattazione proveremo a chiedere e ottenere da tutte le stazioni appaltanti pubbliche, da Rfi e Anas, dal Comune di Roma per i lavori del Giubileo alle tante altre pubbliche amministrazioni che stanno programmando nuovi appalti, di introdurre – perché è possibile – norme che vietino il subappalto a cascata. Speriamo che alle tante attestazioni di cordoglio di sindaci, presidenti di Regione, ecc. di queste ore seguano i fatti: accordi e bandi che vietino il subappalto sarebbero fatti “concreti”.

Immagino che molti di questi temi li avrete posti anche nell’incontro dei giorni scorsi con Rfi.
Sì, noi abbiamo chiesto che venga, intanto e da subito, aggiornato il protocollo tra Rfi, sindacati e ministero delle Infrastrutture sui tre temi più delicati. Il primo è quello che indicavo all’inizio, e cioè l’applicazione di tempi corretti di interruzione della circolazione e del corretto rapporto tra quantità/qualità dell’intervento, carichi di lavoro, tempi necessari. Il secondo punto è quello della qualificazione dell’intera filiera, sulla quale serve un controllo capillare. Rfi deve controllare, anche a propria tutela, la correttezza di tutte le ditte in appalto, non solo della prima della catena: carichi e tempi di lavoro, inquadramento, formazione (che sarebbe obbligatoria) effettuata in una scuola edile o in un ente certificato da Rfi con verifica dello svolgimento reale e non assolta con un pezzo di carta che non serve a niente, come spesso accade. E poi c’è, ovviamente, la tecnologia che può davvero aiutare.

È quello che ci siamo chiesti un po’ tutti. Possibile che nell’epoca dell’intelligenza artificiale non ci sia un sistema in grado di bloccare un treno se sui binari ci sono operai al lavoro?
È così. Oggi – semplifico molto per i lettori - abbiamo una sistema digitalizzato, diciamo una “banca dati” dinamica, che registra in tempo reale ovviamente tutti i treni in movimento e un altro sistema (in modulistica digitale e con flussi bidirezionali, almeno così dovrebbe essere), diciamo una altra “banca dati” che registra le manutenzioni programmate e in corso. Oggi esistono le condizioni per un investimento tecnologico, neanche troppo oneroso, che, facendo dialogare i due sistemi, permetta anche a fronte di criticità o eventuali incomprensioni tra operatori umani, controlli in tempo reale e soprattutto di fermare comunque la circolazione. Con tanto di possibile “pulsante di blocco” tale per cui, per esempio l’addetto dell’azienda in cantiere (in ferrovie si chiama “la scorta” ed è dipendente Rfi) comunque, se vede gli operai sui binari (a prescindere dalla qualità e tempi della comunicazione avvenuta tra i vari livelli della “catena”), possa bloccare la circolazione dei mezzi. Qualcuno dice ovviamente sul binario oggetto di intervento, noi diciamo anche nell’area prossima al cantiere (cioè almeno sul binario attiguo). Se poi il blocco risulterà essere un errore e ci sarà un danno economico, questo potrà e dovrà anche essere sanzionato (e chi ha sbagliato pagherà), ma certamente non si perderanno vite umane. Circolazione e manutenzione, insomma, devono parlarsi in maniera automatica con tecnologie “di blocco” preventivo. Con il controllo e le procedure umane, certo, ma se qualcosa non torna, intanto, con la tecnologia, si mette in sicurezza la vita delle persone. E dico persone perché oltre alla vita dei lavoratori delle manutenzioni vi è anche la tutela della vita del macchinista, di chi abita in prossimità delle stazioni, ecc.

Lunedì 8 gli edili sciopereranno unitariamente insieme ai lavoratori dei trasporti delle categorie di Cgil e Uil. Un segnale importante…
Sì, gli edili piemontesi di Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil sciopereranno unitariamente per tutto il giorno e saremo a Vercelli per la manifestazione. È un segnale importante che il mondo del lavoro vuole dare affinché la strage di Brandizzo possa servire almeno a questo: basta con l’ipocrisia di piangere dei morti per poi, passato il cordoglio, non affrontare le cause strutturali, di modello e di sistema che lo hanno provocato, Dobbiamo intervenire in profondità su un sistema che non funziona. Tengo a sottolineare che questa deve essere una battaglia di tutti: sindacati, amministratori, grandi player degli appalti. E con altrettanta onestà – parlo per la Fillea Cgil - deve essere anche una battaglia “culturale” tra i nostri lavoratori, iscritti e non solo. Quando succedono certe cose tutti siamo responsabili e io chiedo a me stesso: oltre alle denunce, oltre ai protocolli, oltre agli scioperi potevamo fare di più? Io penso che anche noi dovevamo e dobbiamo fare di più.