Un video patinato, quello messo in rete dalla presidente del Consiglio. Per nulla spontaneo, anzi, costruito, tant’è vero che a occhio esperto risultano almeno due tagli effettuati in post produzione. Ma tant’è: tutto serve, pur di non confrontarsi con giornalisti che potrebbero far domande e magari confutare qualche affermazione.

Cuneo fiscale

Il più grande intervento di taglio delle imposte”, dice la premier. Le risponde Cristian Perniciano, responsabile Politiche fiscali, economia e finanza, politiche del credito dell’Area Politiche per lo sviluppo della Cgil nazionale: “Non è davvero il più grande taglio degli ultimi anni, ma va comunque nella direzione che il sindacato ha richiesto al Governo Meloni, e prima ancora al Governo Draghi. Non è un caso se l’intervento nel 'decreto lavoro' si appoggia a quanto già stabilito in proroga a quello precedente, frutto della mobilitazione del sindacato”.

Allora: non è il più grande taglio delle tasse, risponde parzialmente alle richieste del sindacato perché a tempo, non recupera il drenaggio fiscale. “Tale azione non indennizza del tutto l’incremento del costo della vita", riprende Perniciano: "La riduzione del cuneo fiscale doveva essere parte di un intervento più ampio, e soprattutto strutturale, che oltre alla decontribuzione comprendesse anche l’adeguamento all’inflazione delle detrazioni da lavoro e pensione, investimenti nei servizi pubblici (che riducono le diseguaglianze più della riduzione delle imposte)”.

Volendo parlare di equità, occorre anche segnalare che una decontribuzione che preveda una soglia così netta finirà, se non si modifica la norma, per penalizzare i percettori di reddito poco superiore a 35 mila euro, che finiranno per avere un netto inferiore rispetto a chi si colloca entro la soglia.

Fringe benefit

Ci sono altre cose molto importanti", dice Meloni: "La conferma dei fringe benefit fino a 3 mila euro per i lavoratori con figli a carico”. Una buona notizia? È ancora Perniciano a smentirla: “L’innalzamento della soglia esente a 3 mila euro si tradurrà in un incremento delle diseguaglianze, visto che solo una minoranza di lavoratori percepisce benefit elevati, e sono soprattutto quelli con redditi più elevati. All’interno di questa minoranza, inoltre, tale soglia si eleva solo ai lavoratori con figli. Questo beneficio, che peraltro dipende spesso dalla volontà unilaterale del datore di lavoro, sarà quindi appannaggio di una ristretta minoranza di lavoratori”.

Reddito di cittadinanza

Facciamo un passo indietro. Camminando per i corridoi di Palazzo Chigi, Meloni esordisce affermando che “siamo in un periodo in cui l’inflazione galoppa e il costo della vita aumenta", annunciando trionfante il compimento del percorso tracciato con l’ultima legge di bilancio per abrogare il reddito di cittadinanza. Bella coerenza, verrebbe da dire: si attesta la difficoltà ad arrivare a fine mese e si saluta entusiasticamente l’abolizione della misura. E i nuovi strumenti con cui si vorrebbe sostituirlo non sono certo la soluzione.

Si divide la platea della popolazione in condizione di povertà in base allo stato di famiglia e all’età, e non alla condizione economica”. A commentare le affermazioni di Meloni è Giordana Pallone, coordinatrice Area Stato sociale e diritti della Cgil nazionale: “Da una parte le famiglie con minori, anziani e disabili, per cui si annuncia un miglioramento dello strumento, comunque non confermato dalle bozze che circolano; dall’altra 'chi può lavorare', che è inserito in percorsi di formazione e riceverà un sostegno economico solo per il periodo del corso".

La soluzione annunciata dalla presidente del Consiglio - prosegue Pallone -, oltre superare l’universalità, propria di una misura di welfare, qual è uno strumento di reddito minimo, per introdurre un criterio categoriale (essere o meno occupabile) che non ha paragoni in Europa o fondamenta teoriche, è punitivo e continua a confondere e sovrapporre in modo improprio politiche di contrasto alla povertà e politiche attive".

La misura, conclude la coordinatrice Area Stato sociale e diritti della Cgil nazionale, non tiene in considerazione "i lavoratori in povertà, che potrebbero essere esclusi da ogni sostegno e presa in carico, pur essendo tanto 'occupabili' da essere già 'occupati'. Proprio in questo periodo in cui l’inflazione galoppa e il costo della vita aumenta”.

Voucher

Fin qui quel che viene raccontato nel video e confutato dalla Cgil. Ma nel 'decreto lavoro', purtroppo, c’è dell’altro, anche se la presidente si guarda bene dall'annunciarlo. C'è l’ulteriore liberalizzazione dei contratti a tempo determinato e c’è l’estensione dell’utilizzo dei voucher, soprattutto – ma non solo – nelle occupazioni stagionali. In che mese siamo? A maggio, cioè all’apertura della stagione estiva, quella del turismo, e all’arrivo di quella di lavoro intenso nei campi per la raccolta di prodotti agricoli, dalla frutta al pomodoro. La domanda è: in Italia norme per i contratti stagionali sia nel turismo sia in agricoltura esistono, come tutti i contratti prevedono diritti e tutele per lavoratori e lavoratrici, dalle ferie alla malattia pagati, alla Naspi, che necessità c’è di estendere i voucher?

La risposta arriva dalla segretaria confederale Cgil Tania Scacchetti: “Ampliare l’utilizzo dei voucher nel settore turistico significa impoverire ulteriormente il lavoro e ridurre i diritti. Non è questa la risposta alla domanda di manodopera, non è abolendo il reddito di cittadinanza e staccando buoni lavoro che si troveranno lavoratori e lavoratrici. Questo si chiama sfruttamento”. 

Lavoro precario

Gli interventi proposti – aggiunge Scacchetti - non sono adeguati al necessario contrasto alla precarizzazione del mercato del lavoro che continua a rallentare la crescita, insieme alla questione salariale. Si persegue una logica di lavoro a termine, di accondiscendenza alle richieste di flessibilità delle imprese che subiscono, oltre che i lavoratori (giovani e donne in particolare), anche le imprese sane che scommettono sulla stabilità, sull'innovazione e sulla formazione come leve della competitività”.

Quella compiuta il 1° maggio è stata una scelta e come tale poteva essere diversa, se solo si fosse voluto davvero ascoltare il sindacato e dare risposte a lavoratrici e lavoratori, magari a quei giovani e a quelle donne cui Meloni dice di pensare.

Conclude Scacchetti: “Sarebbe utile investire seriamente su un’unica forma d'ingresso al lavoro, fortemente accompagnata dalla componente formativa per sostenere lavoro dignitoso e innalzamento delle competenze dei lavoratori a fronte delle trasformazioni dei settori produttivi. Nelle bozze del decreto lavoro di questo non c’è traccia. Anzi, si sceglie nei fatti la strada dell’ulteriore precarizzazione”.