La notizia è rimbalzata dal web alle pagine dei giornali economici. Intesa San Paolo, il primo gruppo bancario italiano che conta più di 70mila dipendenti, ha proposto ai sindacati di portare da 5 a 4 i giorni lavorativi, per nove ore quotidiane, riducendo così l’orario a 36 ore dalle attuali 37,5 e lasciando intatta la retribuzione.

Quindi un giorno libero in più a fronte di una maggiore concentrazione dell’impegno e delle attività nel resto della settimana. Sembrerebbe un’autentica rivoluzione almeno per l’Italia, che sul tema della riduzione dell’orario è molto sensibile ma non è un Paese all’avanguardia in fatto di sperimentazioni.  

“Questa formula del 4X9 esiste nel contratto di lavoro del credito dal 2012, non è una novità – spiega Susy Esposito, segretaria nazionale Fisac Cgil -. È un’opzione a cui si può fare ricorso nel caso di fiere, di eventi particolari in cui è necessario un orario giornaliero prolungato. Esiste anche il 6X6, se è per questo. La questione diventa rilevante se si vuole allargare la platea e l’impiego, come sembrerebbe in questo caso, e se si intreccia con la rimodulazione dello smart working, dopo la fine della fase emergenziale. Anche questo era regolato dal contratto già dal 2019, quindi prima della pandemia, con massimo dieci giorni al mese, salvo accordi di secondo livello stipulati dalle singole aziende”.

La faccenda si fa ancora più complessa se si pensa che la categoria è in fase di rinnovo del contratto, che scade a fine anno. Il fatto è che la proposta del gruppo bancario è limitata solo a una parte dei suoi dipendenti, e cioè a quelli delle sedi centrali, ed esclude i lavoratori della rete e quelli operativi in turni.

“L'impostazione dell'azienda è inaccettabile perché crea ulteriori differenze tra i colleghi di rete e quelli di governance – scrivono in un documento congiunto le delegazioni trattanti del gruppo Intesa Sanpaolo della Fisac-Cgil, Fabi, First-Cisl, Uilca-Uil e Unisin -. In una platea di 70 mila persone non si devono introdurre elementi divisivi ma lavorare per l'inclusione". Anche perché ci sarebbero impiegati più penalizzati e altri agevolati, a seconda di dove sono collocati

Secondo i sindacati le criticità di questa proposta non si fermano qui. “La scelta del 4X9 deve essere volontaria, alla base non può esserci solo una visione economicistica – riprende Esposito -. Rappresenta una sfida che noi siamo pronti a raccogliere per dare una risposta alle questioni ambientali e ai problemi di mobilità. Ma dobbiamo tutelare il lavoratore”.

Come? Individuando gli strumenti tecnici che permettano una reale disconnessione al termine dell’orario, garantendo l'erogazione piena del buono pasto per tutte le giornate, anche quelle da remoto, e il riconoscimento degli indennizzi per le spese energetiche e di connessione, fornendo un contributo per l'allestimento della postazione di lavoro, assicurando una fruizione completa dello smart working per tutti i comparti del gruppo bancario. Senza contare che la proposta avanzata, che incide sull’organizzazione del lavoro, non può tralasciare l’aspetto determinante in questo settore delle pressioni commerciali, che andrebbero regolate.

“Premesso che le valutazioni sulla trattativa le devono fare i sindacati di categoria, è chiaro che questa ipotesi non è in linea con la filosofia della settimana corta: 32 ore complessive, con giornate che non possono superare le otto ore – afferma Fausto Durante, coordinatore della Consulta industriale della Cgil e autore del volume “Lavorare meno, vivere meglio”, Futura Editrice -. Nove ore per quattro giorni sono un carico eccessivo per il lavoratore, perché se è vero che riduci la settimana, non fai lo stesso con l’orario. Negli altri Paesi europei sperimentazioni e proposte vanno avanti. Nei giorni scorsi si è tenuta a Bruxelles la conferenza del network per la riduzione dell’orario di lavoro da cui sono emerse alcune importanti novità”.

Il governo portoghese, che ha deciso di lanciare un programma pilota per la settimana di 32 ore sulla falsa riga del modello inglese, adesso avvierà una fase di consultazione con le forze sociali, in primis i sindacati. L’idea è coinvolgere gli uffici della pubblica amministrazione ma anche quante più aziende private possibile.

In Gran Bretagna, a seguito del successo dell’esperimento 4 giorni e 32 ore che ha coinvolto 3.600 lavoratori di 73 aziende, un parlamentare del partito laburista ha presentato un disegno di legge volto a modificare a livello nazionale l’orario lavorativo: se dovesse trasformarsi in realtà, i cittadini sarebbero chiamati a lavorare al massimo 32 ore alla settimana, a parità di stipendio. “I laburisti non hanno la maggioranza in Parlamento – conclude Durante -, ma il fatto che la proposta abbia avuto successo, che ne abbia parlato tutta la stampa, lascia aperta qualche possibilità. E visto il livello di confusione che c’è oggi in UK, non è escluso che si verifichino novità e imprevisti”.