Il 13 luglio del 2015 moriva ad Andria Paola Clemente, bracciante impiegata nella acinellatura dell’uva. Una donna, una moglie, una mamma morta di sfruttamento e di necessità nella patria di Giuseppe Di Vittorio, a pochi chilometri dalle discoteche e dalle masserie a cinque stelle della Puglia alla moda.

“Era un lunedì - raccontava qualche giorno dopo l’allora il segretario regionale della Flai, Giuseppe Deleonardis - e Paola è uscita di casa sulle sue gambe, come tutte le notti, per andare a lavoro. È tornata in una cassa da morto. È stata sepolta il giorno dopo. L’hanno sepolta senza autopsia e con il nulla osta del magistrato di turno. Il pm non si è recato sul posto perché, riferisce la polizia di Andria, il parere del medico legale è che si sia trattato di una morte naturale, forse un malore per il caldo eccessivo”.

Ma Paola non è morta per un malore. Paola è morta di lavoro, è morta di fatica. Non era certo la prima. Non è stata e non sarà, purtroppo, neanche l’ultima.

“Paola - denunciava il sindacato - è morta nell’assordante silenzio delle campagne pugliesi. Lo stesso silenzio, spesso vicino all'omertà, che circonda le oltre 40mila donne italiane vittime del caporalato pugliese, spesso camuffato da agenzie di viaggi o da lavoro interinale. Donne trasportate con gli autobus su e giù per tutta la Regione, dalla provincia di Taranto alle campagne del nord della Puglia”. Oggi come ieri.

Il 19 maggio 1980, sulla superstrada Taranto-Brindisi nei pressi di Grottaglie, un pulmino che trasporta 16 braccianti agricole reclutate per la raccolta delle fragole al di fuori del Collocamento tramite il caporale viene coinvolto in un terribile incidente.

Moriranno in tre, su 16 - forse anche di più - passeggere, stipate in un furgone omologato per 9 posti: Lucia Altavilla di 17 anni, Pompea Argentiero di 16 anni e Donata Lombardi di 23 anni, tutte e tre di Ceglie Messapica. La preparazione della manifestazione sindacale organizzata in risposta a quelle tragiche morti sarà ripetutamente disturbata dalle provocazioni dei caporali.

Il giorno successivo all’incidente Donatella Turtura farà visita alle tre famiglie delle lavoratrici. “Le parole di cordoglio perdono ogni senso - dirà in Piazza Plebiscito a conclusione del comizio - E’ da anni che i lavoratori agricoli si battono per il potenziamento del collocamento ma i ministri del lavoro hanno sempre deliberatamente ignorato il problema”.

Pompea, Lucia e Donata partivano alle 4 del mattino e rientravano tra le 18 e 19 della sera, rimanevano fuori di casa ogni giorno anche 14-15 ore. Guadagnavano da 6 a 8mila lire a fronte di una paga sindacale di 27mila lire. Una storia tristemente simile a quella di Paola, vittima di una tragedia similare esattamente 35 anni dopo.

Ma da quel luglio 2015 qualcosa è cambiato, perché il tragico destino di Paola Clemente ha accelerato l’approvazione della legge 199 del 2016, la legge contro il caporalato, la legge di Paola, come in molti l’hanno ribattezzata.

“Nessuno potrà ridare vita a chi la vita l’ha persa per eccessivo lavoro, per eccessivo caldo, per inalazioni di sostanze chimiche nocive, per sfinimento, per mancanza di soccorso - tristemente constatava il marito - Nessuno potrà ripagare tanto dolore. Ma se a vincere, alla fine, sono i diritti e la legalità, non si sconfigge solo lo sfruttamento, si dimostra ai nostri figli che un mondo diverso è possibile”. Un mondo diverso, migliore per il quale in tanti continuano a morire, per il quale in tanti continuiamo lottare.