Il 32% dei pensionati italiani percepisce meno di mille euro al mese. È quanto emerge dal rapporto Inps presentato oggi (11 luglio) alla Camera, illustrato dal presidente dell'Istituto Pasquale Tridico. I dati si riferiscono al 2021 e prendono in esame gli importi lordi, insieme alle integrazioni al minimo, alle indennità di accompagnamento, quattordicesima e maggiorazioni sociali legate alle prestazioni.

Nel dettaglio, i pensionati con reddito inferiore a 12.000 euro è pari a 40%, se si considerano solo gli importi delle prestazioni al lordo dell'imposta personale sul reddito. 

Scorrendo i dati, si apprende che le donne percepiscono solo il 44% dei redditi da pensione. I pensionati a fine dicembre 2021 erano 16 milioni per un importo lordo complessivo di quasi 312 miliardi (+1,55% sul 2020). Sebbene le donne siano il 52% del totale (8,3 milioni a fronte di 7,7 milioni di uomini), queste percepiscono appunto il 44% dei redditi pensionistici: 137 miliardi di euro contro i 175 miliardi dei maschi. L'importo medio mensile degli uomini è superiore a quello delle donne del 37%. Se i pensionati prendono in media 1.620 euro al mese, le pensionate si fermano a 1.374 euro, oltre 500 euro in meno.

Nel rapporto l'Inps lancia anche uno sguardo al futuro, ipotizzando la previdenza della generazione dei nati tra il 1965 e il 1980. I giovani dovranno lavorare in media tre anni in più rispetto ai più anziani. "Se il soggetto percepisse nove euro l'ora per tutta la vita attiva, si stima che l'importo di pensione - si legge - si aggiri sui 750 euro mensili (a prezzi correnti), un valore superiore al trattamento minimo, pari a 524 euro al mese per il 2022".

L'aumento dell'inflazione potrebbe pesare sulla spesa per le pensioni. La crescita dell'indice dei prezzi al consumo nel 2022 potrebbe assestarsi sull'8%, spiega l'Inps, e potrebbe pesare sulla spesa per pensioni nel 2023 per 24 miliardi. Un passaggio poi sul reddito di cittadinanza: nei primi 36 mesi (aprile 2019-aprile 2022) la misura ha raggiunto 2,2 milioni di nuclei familiari per 4,8 milioni di persone, per un'erogazione totale di quasi 23 miliardi di euro.

Cgil: tenuta economica e sociale a rischio, intervenire subito

 "Dai dati Inps emerge con chiarezza come sia a rischio la tenuta economica e sociale del Paese, messa a dura prova prima dalla pandemia, tutt’altro che superata, e ora dalle conseguenze che la guerra in Ucraina sta determinando a livello mondiale e in particolare sul continente europeo, a partire dall’aumento dei costi dell’energia e dall’impennata dell’inflazione". Inizia così la nota della Cgil nazionale, che rilascia un lungo commento al Rapporto.

“Se i dati di ripresa occupazionale possono apparire rassicuranti in termini di numero di occupati, il rapporto Inps certifica ancora una volta - scrive la Confederazione - un grande problema nel nostro Paese rispetto alla qualità dell’occupazione. Minor numero di ore lavorate, part-time involontario come zavorra sulla condizione femminile, crescita del tempo determinato e della somministrazione e calo nell’utilizzo dell’apprendistato indicano con chiarezza che il Paese fatica ad imboccare la strada del lavoro di qualità. Dato confermato anche dal tasso di irregolarità e di sommerso su cui sarà determinante un forte investimento come previsto dal Pnrr”.

Il sindacato quindi prosegue: “Il rapporto evidenzia chiaramente che le misure di sostegno adottate durante la pandemia sono state determinanti per la tenuta dell'occupazione e la salvaguardia dei redditi. Oggi la sfida è nelle trasformazioni di medio e lungo periodo che la pandemia ha determinato, sia nei comportamenti individuali, come dimostra l’aumento delle dimissioni o il drastico calo del lavoro autonomo, sia nelle dinamiche occupazionali dei diversi settori che indicano con nettezza i settori più in difficoltà rispetto ai dati pre-crisi”.

Per la Cgil “occorre quindi intervenire con nettezza sul mercato del lavoro, riducendo drasticamente le tipologie e valorizzando l’ingresso nel mercato del lavoro con contratti che leghino la qualità dell'occupazione e la prospettiva di stabilità con la formazione. La qualità e non solo la quantità del lavoro è infatti decisiva per una ripresa che sappia accompagnarsi con la riduzione delle disuguaglianze e la tenuta della coesione sociale. Le condizioni di giovani e donne, la precarietà e la discontinuità lavorativa, i bassi salari sono ormai - poi - realtà nota e consolidata, che va affrontata e superata innanzitutto utilizzando con lungimiranza le risorse del Pnrr”.

Tornando sul tema della previdenza, spiega la nota "per noi non è accettabile un’uscita con 64 anni e 35 di contribuzione, con penalizzazioni o ricalcoli contributivi, né tanto meno un anticipo della pensione solo per la quota contributiva, che rischia di colpire coloro che hanno retribuzioni basse o discontinuità lavorativa, in particolare le donne. Auspichiamo invece, come dichiarato dal ministro Orlando, la riapertura del cantiere delle pensioni, non solo alla luce delle misure che scadranno alla fine dell’anno, ma per definire nuove misure di flessibilità, che tengano conto - conclude la Cgil - della gravosità dei lavori, del lavoro di cura e della condizione femminile”.