Non è possibile che in Italia i lavoratori della ricerca sanitaria siano in maggioranza precari: una condizione che va superata al più presto, per rilanciare e valorizzare il settore. E non solo: anche perché queste professionalità hanno raggiunto negli anni risultati scientifici di altissimo livello, spesso eccellenze nel mondo, quindi è ormai intollerabile la mancanza di un contratto stabile. "Ricerchiamo Stabilmente" è lo slogan della manifestazione di martedì 28 giugno a Roma, il presidio nazionale indetto dalla Fp Cgil: a raccolta i precari della ricerca sanitaria, appunto, che si ritrovano nella capitale in piazza Castellani dalle 11 alle 13. La sede non è casuale, davanti al ministero della Salute

Ricercatori e collaboratori di ricerca provenienti da tutti gli Irccs e Izs pubblici d’Italia (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e Istituti zooprofilattici sperimentali, ndr) chiedono "a gran voce la stabilizzazione, dopo anche 20 o 30 anni di precarietà, durante i quali hanno saputo garantire risultati scientifici di elevata qualità al sistema della ricerca sanitaria pubblica".  

A spiegare la situazione è proprio il sindacato di categoria. La legge di bilancio 2018 “aveva avviato per loro un percorso a tempo determinato di 5+5 anni con la previsione della stabilizzazione, al termine del percorso nei ruoli, anche dirigenziali, nel servizio sanitario nazionale. Dei 1.800 ricercatori assunti in prima applicazione al termine del 2019, ne sono rimasti solo 1.300 nel sistema della cosiddetta 'piramide della ricerca’, una perdita secca di oltre un quarto delle risorse umane dedicate. Nessuna azienda privata o pubblica potrebbe far fronte a una tale emorragia di risorse altamente qualificate senza subire un tracollo".

La quasi totalità dei direttori scientifici e generali degli Irccs, nel corso delle audizioni sulla legge delega di riordino degli Irccs prevista dal Pnrr, ha chiesto di provvedere da subito a istituire dotazioni organiche di ruolo per ricercatori e collaboratori di ricerca. La priorità è "fermare l’emorragia e valorizzare questo personale, indispensabile per mantenere alti i risultati della ricerca sanitaria in Italia. Si tratta infatti di persone su cui il sistema Italia ha investito - prosegue la Fp Cgil -, con anni di formazione specifica in ambito scientifico, abituati alla competizione per l’acquisizione di finanziamenti pubblici e privati nella ricerca e particolarmente ambiti dalle aziende e dal sistema sanitario privato, dalle università, oltre che dall'estero”.

L'immissione nei ruoli del servizio sanitario sembra sempre più un miraggio per questo personale. Va ricordato sempre che "ricercatori e collaboratori sono stati in prima linea nella lotta al Covid durante tutto il periodo di pandemia, ma il legislatore non ha previsto per loro la stessa tutela prevista per il restante personale precario del Ssn con la riduzione a 18 mesi del periodo necessario per accedere ai benefici della legge Madia". Nonostante i numerosi tentativi di modificare la normativa con interrogazioni e emendamenti, presentati anche dalla Cgil, governo e parlamento non hanno ancora saputo porre rimedio a questa palese iniquità di trattamento.

Adesso cosa bisogna fare? “Non basta prevedere e la riduzione del percorso previsto dalla legge 205/2017: occorre - osserva il sindacato - intervenire subito con la predisposizione di una norma nella prossima legge di bilancio che preveda l’assunzione di questo personale con contratto a tempo indeterminato, operazione che passa necessariamente attraverso la definizione di dotazioni organiche della ricerca. Chiediamo, infine, la definizione di un percorso certo e definito per l’attribuzione del ruolo della dirigenza per ricercatori e collaboratori. I nostri enti hanno perso per almeno due terzi generazioni lavorative (cioè per più di 20 anni) la possibilità di sostituire i dirigenti della ricerca con personale altamente qualificato, con gravi danni per la produttività scientifica e la competitività anche internazionale della ricerca sanitaria pubblica”.

Vista l'attuale scenario, dunque, la protesta è inevitabile: ricercatori e collaboratori di ricerca si ritrovano a Roma, annunciando inoltre assemblee nei luoghi di lavoro per tentare di sbloccare la situazione. "Il nostro Paese non ha un futuro se non investe stabilmente e subito nella ricerca”, conclude la Fp.

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