Il lavoro minorile rimane un fenomeno grave e allarmante in tutte le regioni del mondo. Registra persino una crescita sostanziale, soprattutto in Africa, nelle zone rurali e tra i bambini più piccoli, quelli tra i 5 e gli 11 anni. Occorre che la comunità internazionale intervenga urgentemente in maniera decisa e concreta affinché si eliminino le cause della sua diffusione, se davvero si vuole provare a perseguire l’obiettivo dell’Agenda 2030 di sradicare il lavoro minorile entro il 2025. Questo l’appello lanciato dalla V Conferenza mondiale Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro) di Durban sul lavoro minorile, maggio 2022, a cui hanno partecipato governi e rappresentanti delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali di 180 Paesi.

Nel mondo sono ancora almeno 160 milioni i minori che lavorano, di cui la metà è addetta ad attività pericolose. Il 70% si trova in agricoltura, dove per la maggior parte sono le bambine a lavorare. I numeri, in aumento per la prima volta da vent’anni ad oggi, sono molto probabilmente sotto stimati e non tengono conto di quanto è avvenuto dalla pandemia in poi, inclusi i conflitti armati, le crisi umanitarie e ambientali, con ulteriore aggravamento di squilibri e disuguaglianze.

La Dichiarazione finale adottata a Durban su base tripartita ha il merito di aver finalmente posto l’attenzione sul mondo dell’agricoltura, ma va rafforzata sui meccanismi di seguito e implementazione. Di certo, non esiste lavoro forzato o minorile laddove lo stato di diritto è forte, la libertà di associazione è rispettata, i lavoratori sono organizzati e la contrattazione collettiva funziona. Occorrono azioni urgenti a partire da investimenti nei posti di lavoro di qualità e nell'istruzione e sanità pubbliche, gratuite e universali, riforme fiscali e di contrasto alla corruzione e all’evasione, accesso universale alla protezione sociale pubblica, investimenti nell’economia della cura.

Nessuno può chiamarsi fuori, in nessuna area del mondo. Se ne parla pochissimo, ma il lavoro minorile è rilevante anche nella regione europea e negli Stati membri dell'Unione. Dopo la crisi del 2008, le misure di austerità fiscale hanno portato a una crescita significativa della povertà e dei lavoratori poveri, di cui i bambini pagano il prezzo più alto. I bambini sono la fascia d'età con i più alti tassi di rischio di povertà o esclusione sociale in almeno 13 dei 27 Stati membri dell'Ue. Nel 2020 nell'Ue quasi un bambino su quattro era a rischio di povertà o esclusione sociale, più degli adulti. Non è difficile immaginare che in questi due anni la situazione sia significativamente peggiorata. Nell'Ue i tassi di abbandono scolastico rimangono statisticamente importanti, rappresentando in media il 10,2%, con Spagna e Romania in testa al continente con le percentuali più alte, rispettivamente del 16% e del 16,4%. In Italia, la regione Sicilia ha il triste primato di quasi il 20%.

Inoltre, in tutta Europa, le minoranze etniche e gli immigrati hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola. I servizi scolastici pubblici di qualità devono essere sostenuti finanziariamente, promuovendo la parità di accesso all'istruzione per i bambini sfollati, in particolare per le ragazze. I bambini migranti, rifugiati e richiedenti asilo sono più vulnerabili degli adulti, soprattutto se non accompagnati. La loro vulnerabilità li rende più esposti alla violenza, allo sfruttamento e al traffico di esseri umani, oltre che ad abusi fisici, psicologici e sessuali. Solo in Italia ci sono oltre 12.000 minori non accompagnati. Nelle crisi legate allo sfollamento forzato, un'istruzione pubblica di qualità in ambienti sicuri è cruciale e rappresenta una priorità importante sia per gli sfollati che per le comunità ospitanti. Parliamo di numeri enormi: solo nel 2020 nell'Ue 130.000 richiedenti asilo erano bambini.

I governi e le altre autorità devono garantire le risorse e la capacità di fornire sia agli sfollati che alle popolazioni locali un accesso universale a un'istruzione pubblica interculturale completa, equa e di qualità. Questo vale a tutti i livelli: dall'educazione della prima infanzia all'istruzione superiore.

Le politiche restrittive nell'accoglienza dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei migranti, compresi gli ostacoli ai ricongiungimenti familiari, hanno un impatto terribile. Non consentire o limitare anche parzialmente l'accesso al lavoro per gli sfollati porta a un aumento dell'economia informale e soprattutto dei rami nascosti delle catene di approvvigionamento globali, con conseguenze negative come il lavoro minorile e forzato, con conseguenti tensioni tra le comunità ospitanti e gli sfollati.

L'eliminazione del lavoro minorile, l'offerta di un lavoro dignitoso per tutte e tutti, un sistema di protezione sociale universale e la lotta alle disuguaglianze sociali si collegano fortemente all'essenza della democrazia e al rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali dei lavoratori.  Sono obiettivi realizzabili, occorre tradurre le dichiarazioni principio in azioni concrete a sostegno della collettività, per non lasciare nessuno indietro. La volontà politica e la disponibilità di risorse adeguate, attraverso riforme fiscali eque e progressive, possono fare la differenza. L'Organizzazione Internazionale del Lavoro può e deve svolgere un ruolo unico a questo proposito, grazie alla sua composizione tripartita basata sul consenso e il suo mandato al servizio della giustizia sociale.

Silvana Cappuccio, Dipartimento Internazionale Spi Cgil, portavoce del sindacato internazionale nel Comitato di negoziazione a Durban