Bisognerebbe spiegarlo a un operaio perché, se il salario medio a Milano è di 123 euro al giorno, lui si porta a casa 74 euro, mentre un dirigente se ne porta a casa 562. “Olivetti – ricorda Antonio Verona, responsabile del mercato del lavoro della Cgil di Milano – aveva immaginato che quando lo stipendio di un dirigente fosse stato quattro volte superiore a quello di un operaio il dato sarebbe stato socialmente patologico. A Milano, stando alle rilevazioni del 2020, siamo arrivati a otto volte”.

Milano bacino di disuguaglianze. Milano, capitale economica, città dinamica, inserita nel cuore dell’Europa, spesso meta ambita da chi cerca un’occupazione, si ritrova, in questa rielaborazione dei dati Inps e Ocse a cura della Camera del Lavoro, in una situazione di disparità sociale che non risparmia nessun ambito. Milano terra di gap salariale, quello di genere, quello anagrafico, quello che impone alle donne di guadagnare meno degli uomini, ai giovani meno degli altri, agli impiegati e agli operai molto meno dei quadri e dei dirigenti. In una spirale sociale che rimescola l’attualità di queste ultime ore.

Confindustria si scaglia contro il reddito di cittadinanza che le ruba – dice – i lavoratori? “In realtà – ci spiega Antonio Verona – 400mila persone, sostanzialmente un terzo degli occupati milanesi, si collocano su livelli di stipendio molto, molto inferiori rispetto ai citati 123 euro di salario medio giornaliero. Molti guadagnano meno della metà di quella cifra, alcuni un quarto. Questa è la zona grigia, quella di chi, lavorando, porta a casa una cifra simile a quella prevista per il reddito di cittadinanza”.

Per lo più, si legge nel notiziario della Camera del Lavoro, “sono lavoratori part time, soprattutto involontario, e spesso dimensionato alle mutevoli esigenze aziendali; lavoro a chiamata e somministrazione fanno da cornice e spesso si intrecciano con i contratti temporanei che alimentano la quota di “lavoretti”, sebbene svolti da laureati o persone in possesso di competenze importanti”. È l’esercito dei lavoratori poveri, quelli che nei 123 euro della media del pollo cantata da Trilussa, “si strozzano con l’osso” perché la ciccia non finisce mai nei loro piatti. Sono quelli rimasti a bocca asciutta nella Milano da bere, nella quale il bicchiere pieno sono sempre le solite mani a stringerlo.

E la “velocità di incremento delle buste paga, di adeguamento all’inflazione (che ha ripreso a correre) – sottolinea Antonio Verona – è per quadri e dirigenti doppia rispetto a operai e impiegati. Per i primi, infatti, è dell’8%, laddove per i secondi è appena del 4%, sotto la soglia dell’inflazione”. Non ci vuole un matematico per capire che operai e impiegati stanno perdendo terreno. I loro aumenti non tengono il passo dell’aumento dei prezzi.

Una situazione che genera disparità a raffica, se pensiamo che alle donne milanesi, di questo passo, non basterà una vita intera per raggiungere la parità salariale. Un secolo e mezzo è il calcolo approssimativo denunciato dalla Camera del Lavoro di Milano. “Il cosiddetto gender gap – ci spiega Antonio Verona – si articola sempre su una media del 20%, ma qui non si parla solo di salari contrattuali. Le donne sono penalizzate nella divisione tra tempo pieno e part time, nella disponibilità agli straordinari, nella conciliazione con il lavoro di cura, nella politica dei superminimi. Il reddito che abbiamo preso in considerazione non è solo quello contrattuale, ma è il reddito che genera contribuzione all’Inps, il reddito di fatto. Una differenza notevole in una città come Milano, dove il livello di presenza delle donne nel mercato del lavoro è già importante e il tasso di occupazione femminile, nel territorio comunale, arriva al 68%. Ben oltre i parametri di Lisbona”.

Un divario che si ritrova anche analizzando le differenze presenti tra le varie classi di età. Anche qui la distanza tra le buste paga dei più giovani e dei meno giovani è molto significativa. A rimetterci, ovviamente, sono i più giovani. “Adeguando queste situazioni o comunque sovrapponendole all’attuale quadro economico determinato dall’inflazione, ne emerge un quadro ancora più preoccupante – ammette Antonio Verona –. Milano, considerata la capitale del benessere, con 123 euro di salario medio giornaliero supera del 30 per cento la media italiana. Peccato che dietro ai numeri ci sia la realtà”.