Sono trascorsi ormai quattro anni da quando le campagne di Saluzzo, nel cuneese, sono entrate nelle cronache locali e nazionali che raccontavano di sfruttamento di manodopera e caporalato. Il caso era esploso in seguito a un'inchiesta della Digos e alle segnalazioni del sindacato: proprio nel 2018, infatti, secondo i dati della Cgil, in quel territorio, su 240 aziende ispezionate, 123 non erano a norma, ovvero il 51%, e su 875 lavoratori ben 281 erano impiegati irregolarmente, la metà dei quali totalmente in nero. Da quell'inchiesta è nato un processo, il primo celebrato nel maggiore distretto agricolo piemontese e considerato emblematico del radicamento del caporalato anche nelle regioni del nord. 

La sentenza arriva oggi (11 aprile) con cinque condanne fino a cinque anni e due assoluzioni. Condannato Moumouni Tassembedo, il "caporale" trentenne originario del Burkina Faso che aveva dato il nome all'operazione "Momo" e condannati anche il suo ex datore di lavoro, Diego Gastaldi, e la madre Marilena Bongiasca, titolari di un'azienda agricola biologica di Lagnasco. Se per loro la pena prevista è di cinque anni, tre sono quelli comminati ad Andrea Depetris e alla moglie Monica Coalova, responsabili di una ditta per la macellazione di avicoli a Barge. Assolti, invece, Graziano Gastaldi e Agnese Peiretti, rispettivamente padre di Diego Gastaldi e madre di Andrea Depetris. I condannati, multati, non potranno inoltre assumere cariche nelle imprese e ricevere sussidi dallo Stato o dall'Unione Europea per due anni. 

Secondo quanto emerso dal processo e raccontato dai lavoratori che hanno testimoniato in tribunale gli sfruttati, tutti braccianti di origine africana, erano utilizzati di giorno nei campi e di notte in un macello, con paghe non dignitose e in nero. Per il pubblico ministero Carlo Longo si è trattato di un caso di "caporalato grigio". A tenere sotto ricatto i lavoratori era il timore di perdere la fonte di reddito, seppur minima, e il permesso di soggiorno. Nonostante questo, anche grazie all'intervento del sindacato, due braccianti riconosciuti come parte lesa nel processo avranno un risarcimento provvisionale rispettivamente di 50 mila e 15 mila euro, 10 mila euro andranno alla Cgil, e altrettanti al sindacato di categoria che rappresenta gli addetti del settore Flai Cgil e all'associazione Sicurezza e Lavoro.

"La sentenza - ha dichiarato Andrea Basso, segretario generale della Flai Cgil di Cuneo - conferma quanto sostenuto nel tempo dal sindacato. Purtroppo anche nel nostro territorio esiste un sistema illecito d'intermediazione che sfrutta lavoratori in condizioni di estrema debolezza e precarietà. È una sentenza storica che valorizza il nostro impegno pluriennale fatto di azioni concrete e di sostegno ai lavoratori. Ci aspettiamo che quanto accaduto convinca tutti - istituzioni, associazioni datoriali, comunità locali - dell’indispensabilità di arrivare a un sistema di collocamento pubblico dei lavoratori agricoli trasparente e rispettoso delle leggi, dei contratti e dei diritti inviolabili delle persone".

Insieme alla Flai cuneese anche la Camera del lavoro si era costituita parte civile un atto "doveroso - spiegano le due strutture sindacali - battersi in ogni ambito per rivendicare e ribadire il ruolo che il lavoro deve avere per realizzare una società più giusta che dia dignità alle persone che vivono delle loro fatiche". Per Davide Masera, che guida la Cgil Cuneo "La sentenza ci obbliga a guardare in faccia la realtà senza vergogna. Lavorare per la legalità è la miglior difesa della parte onesta del sistema frutticolo cuneese e per garantire diritti e tutele ai braccianti agricoli impegnati nei campi. Molto resta da fare e ci impegneremo ad allargare la nostra presenza e la nostra azione ad altri due settori vitali per l’economia del cuneese in cui sappiamo esserci zone d’ombra di sfruttamento, di lavoro grigio e nero: gli allevamenti e il sistema vitivinicolo di Langhe e Roero".

A riprova di quanto diffuso sia il caporalato al nord, sempre oggi (11 aprile) a Ferrara sono state arrestate tre persone, sequestrati beni per 80mila euro e perquisiti 23 imprenditori agricoli dopo un'indagine partita da Portomaggiore due anni fa e che ha poi interessato anche le province di Rovigo, Padova, Venezia e Ravenna. Anche in questo caso, agli arrestati vengono contestati: il trattenimento dell'intero salario giornaliero dei lavoratori che volevano punire e la corresponsione di quote di stipendio in nero, le minacce di ritorsioni e l'uso della violenza fisica anche nei campi.

Notizie che la Flai Cgil provinciale e la camera del lavoro, anch'esse costituitesi parte civile nel primo processo contro il caporalato nel loro territorio, hanno commentato incitando le istituzioni ad applicare pienamente la legge 199 contro il caporalato e non abbassare la guardia, "specialmente in questa difficile congiuntura economica, perché quest’ultima non diventi ulteriore elemento di giustificazione per perpetrare illeciti e sfruttare i lavoratori".