È in disoccupazione dai primi di gennaio. La sua storia è identica a quella degli altri sui colleghi e colleghe. Raggiunti i 36 mesi di “anzianità”, l’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (Euaa che prima si chiamava Easo, European Asylum Support Office) ha deciso di lasciarlo a casa, cioè di non rinnovare più il contratto di somministrazione a termine che ha con Adecco. Ma prevede di riprenderlo con una nuova modalità. Quale? A partita Iva. Potrà candidarsi per i medesimi posti per cui ha lavorato fino a ieri e se va bene, verrà riassunto come consulente. Senza diritti e senza tutele.

“Le posizioni sono le stesse, anche se gli hanno cambiato nome – ci rivela il lavoratore ex Easo, che non vuole comparire, che insieme ad altri novanta, si trova in questa situazione -. Il sistema è stato approvato dalla Commissione europea per il reclutamento delle risorse da dispiegare in Spagna, Italia Grecia, Cipro, Malta e in altri Paesi come la Lituania. La volontà da parte di Easo è chiara: passare a un meccanismo unico anziché impiegare le diverse agenzie interinali e scegliere il personale usando criteri poco trasparenti”.

Peccato che in questo modo i lavoratori vengano privati di tutti i diritti e le tutele che pure i contratti in somministrazione, per quanto precari, garantivano. Peccato che i rapporti saranno molto più aleatori. Peccato che i lavoratori più precari che esistano, le partite Iva appunto, si dovranno occupare di tematiche delicate, diritto di asilo e immigrazione: dalla presentazione della domanda nelle questure e negli hotspot, all’iter delle commissioni territoriali che deliberano sulle richieste, dalla formazione del personale al supporto delle sezioni dei tribunali che esaminano i ricorsi, e così via. Con contratti brevissimi: full time di tre mesi in prima battuta, di un anno in seguito.

Quello che ancora non si sa è come potrà essere fatturata questa prestazione. Se prima i somministrati avevano un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale italiana, infatti, adesso queste consulenze saranno fornite direttamente all’Agenzia che ha sede a Malta, quindi un soggetto estero. Inoltre, c’è la questione del compenso. Dovrebbe essere equiparato a quanto percepito in precedenza dai somministrati, ma il regime fiscale e le modalità di fatturazione lasciano su questi aspetti grandi punti interrogativi.

“Abbiamo a che fare con una materia complessa e difficile, abbiamo accumulato anni di esperienza e competenza in materia – racconta il nostro lavoratore -. Siamo quasi tutti laureati in giurisprudenza o scienze politiche, abbiamo master e dottorati, molti di noi parlano tre lingue. Ma la nostra professionalità e il nostro valore evidentemente non sono riconosciuti. Ci occupiamo tutti i giorni di situazioni al limite, vittime di tratta, persone con fragilità, casi di sfruttamento, ma non c’è il minimo riconoscimento del nostro impegno e della nostra passione”. Il nostro lavoratore, che per convenzione chiameremo Antonio, vive e lavora a Roma ma è di Lecce. Questo complica ulteriormente le cose: “Ho una compagna che a sua volta è emigrata – conclude -. In questo modo è difficile progettare qualsiasi cosa, farsi una famiglia è un miraggio. Molti di noi hanno rinunciato a questo impiego, proveranno altre strade, come dargli torto? Però è paradossale che l’Unione europea proponga modelli di vita e di lavoro così precari. Oltre tutto, è davvero un dispendio di risorse sproporzionato”.