L’80 per cento della forza lavoro nello stabilimento Sa.Ga. Coffee del gruppo Evoca a Gaggio Montano, provincia di Bologna, è costituito da donne. E quando alle operaie non resta che scrivere Vergogna sulle proprie casacche, non c’è molto altro da dire. E neanche da raccontare. Per l’ennesima sporca vicenda di delocalizzazione all’italiana.

La fabbrica chiuderà, questo l’annuncio ufficiale comunicato dall’azienda nella sede locale di Confindustria a sindacati e lavoratori il 5 novembre. Un annuncio daI sapore amaro e indigeribile quanto il gusto del caffè quando è bruciato e ti resta in bocca. Bruciato come i 220 posti di lavoro che rischiano di evaporare e che ogni mattina davano vita a questa fabbrica e all’economia di questo angolo dell’Appennino emiliano.

“Ci hanno trattato come fossimo numeri. Ci hanno fatto sentire inutili. Hanno deciso di sacrificarci per risanare i conti delle altre sedi in val Brembo, in Spagna e in Romania”, è la denuncia delle lavoratrici, tra cui Laura Borelli e Giuseppina Mangone.

Gaggio Montano, lo dice il nome stesso, è un posto in cui la collina si fa montagna, roccia dura come il carattere, la tenacia di queste operaie che dal 4 novembre hanno risposto allo schiaffo del gruppo Evoca montando un picchetto davanti ai cancelli e raccogliendo la solidarietà di istituzioni locali, commercianti, società civile, tutti preoccupati da una chiusura che con i posti di lavoro cancellerebbe anche l’indotto e quel traffico vitale per una zona che vive di equilibri sottili. Nel cuore di una regione che è sempre stata virtuosa e, di recente, per rispondere a crisi finanziaria ed emergenza sanitaria, ha dato vita a un Patto per il Lavoro e per il Clima la cui credibilità potrebbe giocarsi anche su questo campo.

Una vertenza che esplode alla vigilia di un crocevia importante: il Pnrr bussa alla porta, promettendo il rilancio; tutti parlano del lavoro delle donne come volano di sviluppo e metro di misura del progresso del Paese. Ecco, qui c’è una professionalità importante, che ha una tradizione ventennale, c’è un prodotto riconosciuto, le macchine da caffé per ristorazione e bar, che trova nell’Italia una delle sue patrie d'eccellenza, c’è una forza lavoro in prevalenza fatta di donne. La Sa.Ga. Coffee è come una linea sottile di demarcazione tra il fallimento e il rilancio del Paese. Sulla pelle di queste operaie, decise a venderla molto cara e impegnate in una mobilitazione che dopo una settimana già si annuncia durissima, Roma e il governo nazionale potrebbero rischiare la faccia. Anche perché questa fabbrica è tra i tasselli di quel puzzle di cui fanno parte Gkn, Whirlpool, Gianetti, Acc, Embraco e tanti altri. Un puzzle molto grande e complicato che riflette lo stato di un’industria e di un mercato del lavoro che rischia di finire in pezzi. Al governo il compito di ricomporlo.

“L’ennesimo esempio – dice Francesca Re David, segretaria generale della Fiom, in visita al presidio a Gaggio Montano – di un'azienda che sta andando benissimo, ha mercato, sta producendo. Eppure la multinazionale proprietaria del marchio da un giorno all’altro decide di chiudere e di lasciare le lavoratrici e i lavoratori in mezzo a una strada. Anche nel caso di Sa.Ga. Coffee la vertenza esiste perché a tenerla in piedi sono le operaie e gli operai, in una condizione difficile e disagiata perché qui siamo in mezzo alle montagne, c’è un presidio partecipatissimo che tiene viva la lotta e chiama l’azienda, la Regione, le istituzioni a ogni livello alle proprie responsabilità. Tutta la Fiom e tutto il sindacato sono con queste lavoratrici e con questi lavoratori. Chiudere un’azienda è il fallimento di ogni piano di ripresa e resilienza e la vera resistenza è quella che stanno mettendo in atto queste lavoratrici e questi lavoratori. La Fiom starà con loro per impedire una chiusura che non ha alcun senso e per tenere vivo un marchio nato tra queste montagne che i manager vorrebbero portare altrove. Non lo possiamo accettare”.

“La solidarietà e le pacche sulle spalle vanno bene – ha detto più volte parlando alle lavoratrici e ai lavoratori Primo Sacchetti che segue la vertenza per la Fiom bolognese –. Ma adesso abbiamo bisogno soprattutto di concretezza. Per riprendere la discussione abbiamo bisogno che l’azienda ritiri l’annuncio della chiusura. Abbiamo bisogno di un ammortizzatore sociale nell’immediato che copra i lavoratori dal punto di vista salariale. E poi, in prospettiva, di un progetto e un piano industriale che garantiscano il sito e l’occupazione. Chiediamo alla Regione che si faccia garante di queste tre richieste. E visto che siamo in un territorio in cui è stato firmato un patto per il lavoro, vogliamo capire se la Regione è pronta a fare pressione perché parta finalmente una discussione vera su un decreto antidelocalizzazioni. Fin quando non ci sarà una norma ad hoc questi fatti non si fermeranno. Concretezza subito. Perché il presidio è a Gaggio Montano, una perla dell’Appennino, in cui la protesta è dura: freddo, nebbia, acqua, vento, neve, bisogna agire in tempi rapidi. Il percorso sarà difficile ma di certo non molleremo di un centimetro”.

A colpire qui è un altro virus, quello dell’avidità, dell’indifferenza, dei conti che qualsiasi multinazionale fa quadrare chiudendo fabbriche alla bisogna, senza preoccuparsi delle conseguenze. I lavoratori sono numeri e un battito d’ali dall’altra parte del mondo basta a cancellarli, a ripulire la colonnina laddove il totale fosse in rosso. Sommersi e salvati, in una logica senza più logica, se non quella, disumana, del profitto a ogni costo.