Qualche anno fa furono le vicende delle braccianti romene, impiegate, sfruttate e violentate nelle campagne di Vittoria, nel ragusano, a colpire l'immaginario pubblico. Lavoratrici occupate nelle serre che poi venivano costrette a rapporti sessuali e persino ad aborti. Fu proprio l'aumento del numero delle interruzioni di gravidanza tra queste donne a lasciare una traccia inequivocabile delle violenze subite, denunciate dal sindacato e confermate dalle inchieste della magistratura. Oggi fa scalpore una ricerca commissionata da We World che fotografa la condizione delle lavoratrici nell'Agro Pontino: schiave moderne. Vittime di un sistema di sfruttamento lavorativo e sessuale.

"La questione femminile in agricoltura - spiega Jean René Bilongo, responsabile dell'Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil - si è sempre posta, e corre lungo un doppio binario: quello dello sfruttamento lavorativo con paghe misere e un differenziale retributivo che raggiunge anche picchi del 50% e quello dello sfruttamento e del sopruso sessuale. Tema centrale per il nostro Osservatorio, al quale abbiamo dedicato un intero capitolo della quinta edizione del rapporto Agromafie e caporalato, una ricerca a firma di Letizia Palumbo e Maria Grazia Giammarinaro che era relatrice Onu sulla Tratta di esseri umani, firme autorevoli che per noi hanno affrontato il tema della piaga dello sfruttamento. Nella prossima edizione, alla quale stiamo già lavorando, ci sarà un ulteriore approfondimento".

"Tenete conto - precisa il segretario nazionale della Flai Cgil Davide Fiatti - che in agricoltura, esiste una sorta di gerarchia salariale: un uomo italiano guadagna più di una donna italiana, che a sua volta avrà un compenso più alto di un uomo straniero. In fondo a questa classifica ci sono le donne straniere. Lavoro nero, lavoro grigio,un numero di giornate lavorate segnate inferiore a quelle effettivamente svolte sono le caratteristiche di retribuzioni date fuori dalle regole. E a tutto questo spesso si aggiunge lo sfruttamento sessuale. Secondo i dati del settore aggiornati al 2019, in agricoltura sono impiegati circa 718mila uomini a fronte di 338mila donne, dal 2010 gli uomini sono cresciuti del 14%, le donne sono diminuite del 16%. Viene da chiedersi se molte di loro non siano semplicemente precipitate nella spirale del lavoro nero".

Intanto i rinnovi dei contratti provinciali procedono in ritardo e a rilento ma proprio la contrattazione è una delle chiavi attraverso cui affrontare il problema. "Dal punto di vista normativo - prosegue Fiatti - si sta cercando di inserire disposizioni specifiche che riguardano sostegno al welfare, permessi, agibilità per conciliare tempi di vita e di lavoro. Nell’ultimo rinnovo del contratto nazionale abbiamo ottenuto che l’ente bilaterale nazionale potesse sostenere anche economicamente le donne lavoratrici che subiscono violenze di genere, estendendo l’indennità già prevista di ulteriori 3 mesi. A livello provinciale si chiede di sostenere questo tipo di accompagnamento e anche di favorire protocolli per la tutela delle donne".

La contrattazione da sola però non è sufficiente - chiarisce la segretaria nazionale della Flai Cgil Tina Balì: "Come nel contrasto al caporalato serve un approccio integrato. Attraverso la contrattazione sociale territoriale occorre attivare le reti del territorio. Perché se è vero che noi possiamo verificare cosa accade nei luoghi di lavoro, non sempre abbiamo delegati o delegate all’interno dell’azienda, soprattutto quando le aziende sono piccole e per nulla sindacalizzate. Il contrasto alle molestie e alle violenze contro le donne andrebbe fatto vivere dentro le reti del lavoro agricolo di qualità istituite nelle province. Deve essere un percorso che coinvolga i centri antiviolenza, i consultori e le asl e in cui tutti gli operatori, anche quelli delle forze dell'ordine, siano formati ad affrontare situazioni di sfruttamento complesso di questo tipo, che spesso si intrecciano ad altre vulnerabilità e impattano con le diverse culture di appartenenza delle vittime. Parlando del sindacato, ad esempio, tanti nostri compagni vanno nei ghetti e si occupano a tutto campo di lavoratori e lavoratrici ma a volte faticano a capire se c’è stata una molestia; serve anche al nostro interno una formazione maggiore. E poi serve la presa in carico con una tutela a 360 gradi"

Su questo specifico aspetto è Jean René Bilongo a ricordare che "L’occhio dello sfruttatore  è molto vigile: cerca di scansionare la donna lavoratrice per capire se ha figli piccoli a carico perché qualora fosse così sarebbe ancora più fragile. In questi anni, in alcuni territori, oltre alla consueta attività di sindacato di strada - ricorda Bilongo - abbiamo aperto sportelli dedicati alle donne che abbiamo chiamato case dei diritti. Cerchiamo di dare loro risposte, di proporre attività di sostegno: per esempio, a Villa Literno, lo sportello Flai Cgil offre il doposcuola per i bambini per aiutarle nella gestione dei figli; poi naturalmente il sindacato di strada ci ha imposto di articolare ancor più approfonditamente la riflessione, abbiamo ragionato su come farci carico dei bisogni delle donne e quindi abbiamo articolato una formazione per le nostre strutture che possa aiutare i nostri operatori e le nostre operatrici a intercettare le donne che sono vittime di questo duplice sfruttamento, lavorativo e sessuale".

Se ad oggi nella rete del lavoro agricolo di qualità il tema della violenza sulle donne non è ancora affrontato, esiste però una proposta di legge il cui esame in commissione è iniziato lo scorso marzo. All'interno di questa discussione sulle disposizioni per la promozione del lavoro e dell’imprenditoria femminile nel settore dell’agricoltura la Flai Cgil ha avanzato alcune richieste precise. Tina Balì le sintetizza in due parole: "Osservatorio e reti. Tra le nostre proposte c'erano anche forme di sgravi contributivi per le aziende che assumono donne vittime di violenza e l'istituzione di percorsi formativi mirati per farle uscire da occupazioni di bassa qualità. Un fattore essenziale è tra l'altro quello di vincolare l'accesso agli sgravi contributivi alla garanzia di condizioni stabili perché la garanzia dell'indipendenza economia, di un'occupazione stabile e di qualità per queste donne è un fattore essenziale"