È stata presentata oggi (1 ottobre) a Roma una ricerca della Fondazione Di Vittorio in collaborazione con la Cgil di Roma e Lazio e la Fiom sullo smart working dei settori informatici. La ricerca – coordinata da Daniele Di Nunzio – ha avuto tre obiettivi di fondo: conoscere le condizioni di lavoro in ambito informatico; favorire la partecipazione del lavoratore alle reti sindacali e all’elaborazione collettiva fondata sui risultati dell’indagine. E infine stimolare anche una riflessione individuale sulla propria condizione. Per leggere il testo completo della ricerca andare sul sito della Fondazione Di Vittorio.

Analizzando le risposte, emerge prima di tutto una richiesta al sindacato di rafforzare le tutele di ordine generale e, al tempo stesso, di mettere in atto iniziative sindacali attraverso la contrattazione decentrata, favorendo l’inclusione e la partecipazione individuale per avere voce sulle forme organizzative e sulle condizioni di lavoro. Dalle esperienze realizzate nel corso della pandemia (ma anche prima della fase acuta visto che lo smart working nell’informatica non è una acquisizione recente), emerge un quadro problematico sulla contrattazione. Oggi i lavoratori hanno infatti basse o nulle opportunità di contrattare le condizioni di lavoro nello smart working: su una scala da 1 a 5 (dove 1 è nessuna possibilità e 5 il massimo delle possibilità), il 42,3% dichiara nessuna possibilità, il 29,6% da un punteggio scarso di “2” e il 21,6% un punteggio medio di “3”. Solo il 6,5% da come punteggio 4 o 5.

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Questo però non vuol dire che il giudizio dei lavoratori informatici sia del tutto negativo sullo strumento in sé del lavoro agile o a distanza. Secondo gli intervistati lo smart working non aiuta a diminuire i carichi e i tempi di lavoro ma, d’altra parte, favorisce la conciliazione tra il lavoro e la vita personale: dunque l’intensificazione si accompagna alla percezione di un miglioramento per la gestione della vita famigliare. L’analisi per genere del rapporto tra carichi di lavoro, tempi e conciliazione mostra che le differenze sono poco accentuate rispetto ad altre realtà, ma al tempo stesso si registrano anche qui le maggiori criticità per le donne rispetto alla gestione dei tempi di lavoro.

Il campione utilizzato
Il campione è composto per lo più da lavoratrici e lavoratori informatici qualificati, con condizioni stabili dal punto di vista occupazionale, in gran parte assunti in medie e grandi imprese. Le donne che hanno risposto sono il 41,2%, ed emerge dunque una prevalenza maschile che caratterizza il settore informatico a livello nazionale ma, anche, una maggiore presenza di lavoratrici rispetto alla media del settore (20,8% nel Lazio). L’età si concentra nelle classi tra i 36 e 50 anni (57,8% del campione) e il 16,5% ha meno di 35 anni (tra le lavoratrici questa incidenza è maggiore, 17,3%). La quasi totalità (97,8%) lavora con un contratto a tempo indeterminato. Nel 97,1% dei casi è applicato un Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) metalmeccanico, la restante parte telecomunicazioni o commercio, mentre solo lo 0,4% non sa quale contratto è applicato. Il livello di inquadramento è elevato e più della metà del campione, con Ccnl metalmeccanico, è al livello 6 o superiore (56,9%; una quota di circa l’11% ha indicato genericamente quadro).

Le sfide per il sindacato
L’informatica è un settore chiave dell’economia. Le reti flessibili e digitali della produzione superano i confini tradizionali di tipo aziendale, settoriale e territoriale, così come le distinzioni tra industria e servizi, tra pubblico e privato, imponendo al sindacato una maggiore capacità di costruire strategie di intervento capaci di adattarsi alle catene del valore che coinvolgono una pluralità di imprese, territori, settori, tipologie professionali, contratti collettivi nazionali e aziendali, con ’obiettivo di superare le separazioni istituzionali tra le federazioni di categoria e territorio per favorire una maggiore collaborazione.

Uno dei problemi da affrontare è sicuramente quello degli orari e della gestione del tempo in generale. “Gli informatici – spiega Di Nunzio - hanno carichi di lavoro intensi, con orari di lavoro prolungati e circa due su tre lavora più di 40 ore settimanali: il 40,6% lavora tra le 41 e le 45 ore, il 18,2% oltre 45 ore, mentre solo il 3,3% lavora meno di 30 ore settimanali. Dunque, il part-time ridotto è quasi inesistente e nel caso sono le donne che lavorano meno ore a settimana, anche in ragione dei maggiori carichi di cura famigliare. I meccanismi di controllo del lavoro sono diversificati e prima di tutto i lavoratori sono soggetti al rispetto di standard qualitativi e quantitativi di progetto (40,9%, “spesso”) a cui segue il controllo diretto dei superiori (37,1%) e quello interno al gruppo di lavoro (32,8%), mentre meno utilizzato è il controllo tramite programmi informatici che comunque interessa spesso o qualche volta il 41,2% del campione.

Il problema è l'orario
Secondo la Fiom di Roma e del Lazio, il questionario è interessante per capire come è stato vissuto lo smart working in una situazione estrema come la pandemia, ma ci offre anche spunti utili per modellare lo smart working dopo l’emergenza sanitaria e in quali trappole non bisogna cadere durante le contrattazioni aziendali. I risultati indicano un sostanziale gradimento dello smart working associato al miglioramento della gestione familiare e, anche se non indicato, al tempo risparmiato per gli spostamenti. Ma, allo stesso tempo, vengono denunciati aspetti che peggiorano la condizione lavorativa e privata. Una prima considerazione è sull’orario e i carichi di lavoro. "L’orario è diventato indefinito e dilatato, e i carichi di lavoro e le responsabilità aumentati - spiega Fabrizio Potetti, segretario generale della Fiom di Roma e Lazio -. Questo ha consentito una maggiore produttività per le aziende, a cui però non è corrisposto un vantaggio né economico né normativo per i lavoratori che, malgrado dichiarino di aver migliorato la gestione della vita familiare, lavorano mediamente da una a 5 ore in più a settimana, sabato e festivi compresi. Questo non consente loro di avere grossi spazi di vita privata. In particolare sono le donne a subire più stress e ad avere meno spazi personali. Inoltre nella maggior parte dei casi non c’è stata una formalizzazione di accordi sindacali, per cui spesso le condizioni dettate dalle aziende hanno fatto perdere diritti, come la non corresponsione dei ticket. Infine, nella maggior parte dei casi, gli spazi di lavoro non sono idonei. Infatti i problemi di salute maggiormente indicati sono stati mal di schiena e dolori muscolari, stress lavoro-correlato e problemi agli occhi e alla vista".

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Ritornando ai dati della ricerca della Fondazione Di Vittorio, in seguito all’emergenza pandemica, la quasi totalità dei lavoratori lavora da casa (99,2%) e i tempi di lavoro sono completamente in smart working per più della metà del campione (57,1%); il 20,8% invece adotta un numero definito di giornate settimanali o mensili; il 10,6% non ha un numero definito di giornate, mentre è residuale il numero di chi fa solo alcune ore al giorno 20 (2,4%). Quando le giornate sono regolamentate, la media è di 2 giornate a settimana in smart working. Vista l’intensificazione di carichi e ritmi, lo smart working sembra favorire un aumento della produttività e circa due rispondenti su tre (65%) dichiarano che durante questi mesi di lavoro da casa la produttività è aumentata, mentre per il 23,6% è rimasta invariata e solo per il 4,1% è diminuita (il 7,3% non sa rispondere). Lo smart working comporta dei cambiamenti organizzativi orientati verso l’adozione di forme di lavoro a progetto e per obiettivi. Secondo la maggior parte degli intervistati lo smart working rende più efficace il lavoro per obiettivi ma, d’altra parte, non offre maggiori opportunità di un aumento dei premi e benefit aziendali.

Che succederà ora?
Rispetto al futuro dello smart working nell’azienda, il campione si divide a metà tra chi ritiene che continuerà a essere una modalità di lavoro diffusa (43,1%) e chi che sarà utilizzato ma in misura minore rispetto alla fase epidemica (40,9%), solo il 5,1% ritiene che si tornerà alla situazione precedente all’epidemia e il 10,9% non sa rispondere. Inoltre, al di là delle forme in cui sarà adottato, emergono alcune paure legate alla diffusione dello smart working in maniera coercitiva, con il rischio di non potere scegliere di rientrare nel luogo di lavoro, una paura manifestata dal 29,8% dei rispondenti.

Comunque, lo smart working appare come una prospettiva attraente per la maggior parte degli intervistati. “Se indaghiamo il bilanciamento di tempo ottimale tra lo smart working e il lavoro in presenza – si legge nella ricerca - considerando i desideri personali, la maggior parte del campione propende per un tempo di lavoro condotto in prevalenza in smart working: per quasi due rispondenti su tre la situazione ottimale è di due terzi di tempo in smart working e per circa un rispondente su cinque completamente in smart working”.

La maggior parte del campione è soddisfatto delle modalità con cui è svolto lo smart working e questo alto grado di soddisfazione è presente sia tra gli uomini, sia tra le donne (il 34% del totale del campione dichiara un giudizio del tutto positivo). Nonostante gli impatti contraddittori del lavoro a distanza nella fase pandemica, emerge in sostanza un giudizio tendenzialmente positivo sullo smart working per la gran parte dei rispondenti (il 72% del totale del campione dichiara un giudizio del tutto positivo o quasi). Inoltre, tra i lavoratori emerge la consapevolezza che questa modalità di lavoro sarà sempre più diffusa in futuro. È necessario però contestualizzare la natura emergenziale dell’introduzione del lavoro da casa che ha rafforzato alcune problematiche di una modalità lavorativa già poco regolamentata, con il rischio di un aumento del potere datoriale sui singoli lavoratori a scapito della regolamentazione pubblica e della contrattazione collettiva, con un accentuarsi delle disuguaglianze di genere, enfatizzando criticità e sfide già presenti in questa forma organizzativa nella definizione delle relazioni tra i lavoratori e con il management, con criticità e aspetti positivi che sono posti sotto tensione ma che comunque presuppongono una volontà da parte dei lavoratori di proseguire queste modalità lavorative anche in futuro. Infine, nella maggior parte dei casi, gli spazi di lavoro non sono idonei. Infatti i problemi di salute maggiormente indicati sono stati mal di schiena e dolori muscolari, stress lavoro-correlato e problemi agli occhi e alla vista. Molte sono dunque le questioni che rimangono aperte e il sindacato è già a lavoro per aggiornare gli obiettivi della contrattazione.

"Da tutte le considerazioni che possiamo fare sui risultati del questionario - conclude Fabrizio Potetti - ci arrivano suggerimenti sulle priorità indicate da inserire sugli accordi per lo smart working come scelta individuale, rimborsi economici per le spese sostenute e diritto alla disconnessione. In ogni caso, una nota positiva è il riconoscimento da parte dei lavoratori che durante la pandemia l’attività sindacale non si è fermata, in particolare le maggiori attività sindacali indicate sono state la partecipazione ad assemblee online e anche l’organizzazione di scioperi".

Anche per la Fiom nazionale la ricerca della Fondazione Di Vittorio è molto importante e dovrà sicuramente essere estesa anche ad altri territori e zone. "Per noi - spiega Barbara Tibaldi, segretaria nazionale della Fiom - le indagini e le inchieste sono sempre state storicamente importanti per capire le realtà del lavoro. Non si tratta solo di elementi di conoscenza, ma di strumenti concreti per allargare la contrattazione, in questo caso in tutti i grandi gruppi Ict (Information and communications technology). In particolare l'indagine su Roma e Lazio ci fornisce importanti stimoli sui contenuti della contrattazione che andremo a realizzare a partire dalle richieste dei lavoratori sul diritto alla disconnessione e la discussione sugli orari di lavoro. Per questo andremo avanti al livello nazionale coinvolgendo tutti i territori con l'obiettivo di costruire una piattaforma per tutto il settore Ict".