Spari d’arma da fuoco, sono quelli risuonati questa mattina d’agosto tra i campi del foggiano. Bersaglio un giovane nigeriano che in sella alla sua bicicletta si recava al lavoro, a raccogliere pomodori e ortaggi nelle campagne della capitanata. È solo l’ultimo episodio di tanti, troppi che mescolano il razzismo nei confronti di chi arrivando da lontano assicura frutta e verdura sulle nostre tavole per una paga da fame e condizioni di vita incivili, e messaggi al limite della mafiosità da parte di caporali e sfruttatori. E la regolarizzazione pensata dal Governo come uno degli strumenti per far emergere  lavoro nero e sfruttamento sembra funzionare poco. Per illustrare numeri e difficoltà di una procedura più efficace per badanti e colf che per i braccianti si sono dati appuntamenti, questa mattina, i dirigenti di Cgil e Flai di Puglia e Foggia proprio nel “ghetto” di Borgo Mezzanone. Il primo pensiero non poteva che essere per il ragazzo ferito: “Un atto vigliacco, per il quale chiediamo a magistratura e forze dell’ordine di fare piena luce. Al ragazzo va la solidarietà e il sostegno della nostra organizzazione”, ha affermato il segretario generale della Cgil Puglia, Pino Gesmundo. “Se fosse confermata la matrice razziale, dopo gli episodi di qualche anno fa di lanci di pietre da auto in corsa – gli fa eco Antonio Gagliardi, segretario generale della Flai pugliese – sarebbe il segnale di un odioso clima di intolleranza che non può rimanere senza risposta da parte delle istituzioni”.

E poi i numeri, deludenti della regolarizzazione. O della mancata regolarizzazione.  Mentre i fenomeni di lavoro irregolare e la pratica del caporalato è sempre diffusa,  le procedure per l’emersione del lavoro irregolare previste dal Decreto Rilancio sembrano funzionare poco. “Al 31 luglio sono solo 797 domande di regolarizzazione di lavoro agricolo in provincia di Foggia, 1781 in tutta la Puglia. A fronte di una platea molto vasta di lavoratori che soprattutto a causa dei Decreti Sicurezza ha visto perdere il diritto al rinnovo – ha sottolineato Gagliardi segretario della Flai regionale-. Avevamo denunciato già al varo della norma i limiti legati alla condizionalità temporale che permette l’accesso alle domande solo a quanti avevano un permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, così come il limite del 15 agosto per la presentazione delle istanze andrebbe prorogato”. Di contro, “il tasso di irregolarità resta elevato: a leggere i dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro, in Puglia nel 2019 le imprese oggetto di ispezioni sono state 1.538, a fronte delle 78mila imprese attive. Altro che militarizzazione del territorio, come affermano le associazioni datoriali che fanno propaganda contro la legge 199. Ebbene il 55,2%, la metà, risulta non in regola. Mentre le irregolarità che emergono dalla vigilanza tecnica salgono quasi al 90%. E di contro è ancora basso il numero di imprese che aderisce alla Rete agricola del lavoro di qualità, 970 in tutta la regione, ovvero l’1,24% del totale. I nodi della rete dovrebbero essere il luogo dove costruire quei percorsi di regolarizzazione dell’intermediazione, del trasporto, dell’accoglienza, ma se le imprese lo boicottano permettono che si perpetuino condizioni insostenibili come quelle dei ghetti”.

Le norme per dare dignità, diritti e giusto salario ai braccianti non funzionano mentre il caporalato e lo sfruttamento sì. Sono ancora i numeri a dircelo e gli arresti e le indagini della magistratura di questa prima parte di estate a confermarlo. “In questo Paese l’universalità dei diritti è ormai un concetto superato – ha denunciato Maurizio Carmeno, segretario generale della Camera del Lavoro di Foggia -. Puoi avere o non avere un diritto se hai il permesso scaduto il 30 settembre o il 31 ottobre. Noi crediamo che serva una presa d’atto della condizione cui costringiamo questi lavoratori a vivere e lavorare, sono le leggi dello Stato a spingerli nelle mani di caporali e sfruttatori. Ministri e parlamentari dovrebbero venire qui, vedere e ascoltare, per capire quanto drammatica è la situazione e quanto pavide a confronto le iniziative legislative intraprese”.

Un ritardo culturale per Daniele Iacovelli, segretario generale della Flai di Foggia, anche del mondo imprenditoriale: “Quasi il 90 per cento delle domande di regolarizzazione riguarda il lavoro domestico. In agricoltura le aziende non di operai agricoli hanno bisogno, ma di braccia. Uno vale l’altro, come se non vi fossero specializzazioni legate alle colture, senza formazione, senza fidelizzazione magari di chi sa meglio svolgere determinate mansioni. Conta solo l’abbattimento dei costi. Ma quale futuro può avere un settore così importante e strategico per la nostra economia se ancora questa è la visione? Allora se non c’è collaborazione ai tavoli istituzionali l’unica strada rimane la denuncia e l’intensificare i controlli”.

A spiegare perché la regolarizzazione non funziona sono proprio i braccianti, gli “ospiti” di Borgo Mazzanone. Mohammed un ragazzo  liberiano, parla bene l’italiano e ha un passato a Brescia nelle fabbriche, poi la perdita del lavoro e la scelta di scendere nell’inferno dello slum che sorge a dieci chilometri da Foggia. “Noi non siamo qui per fare casino, siamo qui per lavorare. Viviamo in baracche, in condizioni al limite. Se fossimo in regola pagheremmo le tasse, potremmo fare un contratto d’affitto, rivendicare i nostri diritti. Invece le norme non favoriscono questo, le leggi ci hanno messo nella condizione di perdere il titolo di soggiorno. Noi diciamo fateci lavorare, il pomodoro che arriva nelle vostre case lo raccogliamo noi, la schiena che si spezza è la nostra”. Souware ha un passato da metalmeccanico, era assunto in una fabbrica di macchine per il caffè e iscritto alla Fiom. Poi è arrivato Covid-19 e il licenziamento. Non ha trovato alternativa, unica possibilità il lavoro nei campi e la “scelta” di scendere in Capitana. È convinto che uno degli ostacoli maggiori alla regolarizzazione sia l’impossibilità ad avere la residenza. Insomma dai racconti di questi ragazzi la strada dall’emersione dall’irregolarità e dall’invisibilità sembra essere un labirinto senza uscita, o quasi.

“Diventa difficile venire qui constatando che un’altra stagione delle grandi raccolte sta passando e che poco o nulla è cambiato sulla ex pista di Borgo Mezzanone – ha concluso l’incontro con i giornalisti Pino Gesmundo segretario generale della Cgil pugliese -. Quello che chiedono questi ragazzi, tanti giovanissimi, è rispetto, del lavoro e della loro persona. Per tutto questo non può perdurare una condizione dove l’accoglienza è lasciata al fai da te, in un luogo senza servizi, fogna, elettricità, acqua potabile. La politica del girare la testa dall’altra parte e lasciare che tutto resti immutato a noi non sta bene. Ai lavoratori non facciamo promesse, siamo qui ogni giorno con i nostri operatori, con la Flai, abbiamo aperto una sede nel Borgo proprio per andare incontro alle esigenze di chi qui vive, italiano o straniero, a dieci chilometri dal capoluogo ma territorio del Comune di Manfredonia, che ne dista venticinque”. Unità, questo ha chiesto il segretario generale della Cgil pugliese, “perché la nostra forza deriva dalla partecipazione dei lavoratori, se ci sarà da mettere in campo qualche iniziativa decideremo insieme percorsi e metodi, nessuno viene qui a calare dall’alto scelte. Noi possiamo aiutarli nelle denunce, nelle vertenze, nel rivendicare diritti, e quanto alla politica porteremo le parole raccolte oggi, piene di dignità e anche orgoglio di chi svolge un lavoro faticoso e vuole sentirsi cittadini di questo paese a tutti gli effetti. Nessuno deve girare la testa, in primis chi ha compiti di legislatore. Se ci sono norme che non hanno funzionato che si correggano. Lasciare queste persone ancora in balia dei caporali e dello sfruttamento, alimentando economie irregolari e criminali, rende corresponsabile chi avrebbe il potere di intervenire”.