È un ruolo delicato. Lo è ancora di più in questa fase di emergenza sanitaria. Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, Rls, è, all’interno delle aziende, colui che si propone (e viene eletto dai delegati sindacali, oppure designato) per rappresentare i lavoratori in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Raccogliamo il racconto di un Rls della Flai di Bergamo, la categoria degli alimentaristi e dell’agroindustria. E.C. (segnaliamo solo le sue iniziali) ha 30 anni e lavora in una grande azienda della val Seriana, il territorio della bergamasca più falcidiato dal contagio.

Ci sono Rls in ogni azienda. Siamo volontari. Lo dico per specificare che chi, come me, sceglie questa strada, non ci guadagna nulla, non ha altro fine se non fare tutto ciò che è in suo potere per far sì che nell’azienda dove lavora la sicurezza sia una priorità per tutti.

Ora immaginate un Rls al tempo del Coronavirus. La paura dei primi giorni, paura che si è trasformata in nervosismo. I battibecchi, le solite frasi, “voi non fate niente, siete ammanicati con le aziende”. La corsa alle mascherine o il menefreghismo di chi non le metteva perché “tanto non sono obbligatorie”. L’assenteismo oppure, all’opposto, quelli che venivano al lavoro malaticci perché “tanto è solo un raffreddore”. La disinformazione figlia dei social e dell’incapacità di verificare le notizie. E tu che scegli di essere sempre in azienda perché sei il riferimento dei lavoratori, il loro rappresentante e vuoi essere sicuro che l’azienda li protegga.

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Devo ammetterlo, sono fortunato. La mia azienda è stata molto attenta in questa situazione, anticipando anche alcune misure di sicurezza che poi sarebbero diventate obbligatorie. Mascherine distribuite ai dipendenti, pur nella grande difficoltà di reperirle, gestione del distanziamento sociale all’interno dell’azienda, seppur con tutte le difficoltà del caso, dilazionamento degli ingressi, distribuzione di gel igienizzanti e guanti monouso. Sì, posso dire che l’azienda dove lavoro è stata virtuosa al riguardo. Ad oggi si sta impegnando per effettuare anche test sierologici sui dipendenti che lo desiderano.

Ma so che non tutte le aziende sono così. So che in tante, in troppe, il “guadagno” è stato posto prima della vita delle persone. Forse anche dalla Regione Lombardia stessa, quando ha scelto di non chiudere la val Seriana.

Ma la mia riflessione vuole arrivare alla responsabilità che ricade su noi tutti. Abbiamo la responsabilità di rispettare le regole poste da chi sta sopra di noi, per garantire la salute di tutti. Abbiamo la responsabilità di essere attenti e propositivi. Se notiamo qualcosa che non va, segnaliamolo con i giusti modi. Abbiamo la responsabilità di fidarci gli uni degli altri: non lasciamo che serpeggino diffidenza e delazione. Abbiamo la responsabilità di impegnarci a informarci nel modo migliore, verificando fonti e contenuti. Non stiamo parlando di calcio, ma di medicina e salute: dobbiamo fidarci di chi ha studiato questi temi e li conosce.

Abbiamo la responsabilità di non dimenticare, di ricordarci di ciò che stiamo vivendo ora, per costruire un futuro migliore, incentrato sul rispetto dell’ecologia, dell’uomo, dove il guadagno non sia il centro di tutto, abbattendo quella mala-politica (tipica del nord, non dimentichiamocelo) del “lavoro e guadagno a tutti i costi”.

Da un paio di mesi abbiamo tutti maggiori responsabilità, e la più grande è quella di non essere giudici degli altri ma di essere i primi a fare la nostra parte. Io, come tanti altri Rls, farò la mia parte. Perché l’ho scelto. Perché ci credo.