Il 4 maggio come obiettivo per la riapertura, ma davvero poca chiarezza su come fare. La strategia di uscita della Lombardia dal lock down totale resta ancora avvolta nel mistero, alla vigilia del Tavolo del patto per lo sviluppo regionale in programma per domattina (17 aprile). Il presidente Fontana, in questi ultimi giorni, ha mischiato ulteriormente le carte in tavola. Prima s’è detto contrario alla riapertura di librerie e cartolerie a inizio settimana, ieri ha invece chiesto al governo Conte la possibilità di riaprire a partire dal 4 maggio, dando "il via libera alle attività produttive". Poi è arrivata una parziale retromarcia, e infine oggi, nel corso del consiglio regionale, s’è augurato "che il caldo rallenti il contagio e renda il virus meno aggressivo", e dunque "che si possa ricominciare nei prossimi giorni una ripresa graduale."

“Non so sulla base di quali dati, si stia muovendo la giunta lombarda, di sicuro Fontana continua a fare il gioco della contrapposizione alle decisioni prese a livello nazionale. Noi domani, insieme a Cisl e Uil chiederemo garanzie concrete. La ripresa delle attività produttive deve avere come precondizione un quadro chiaro e confermato dal comitato scientifico nazionale", commenta Elena Lattuada, segretaria generale della Cgil Lombardia.

Qualsiasi riapertura, quindi, dev’essere compatibile con la salute delle persone, “per non mandare all’aria gli sforzi che finora sono stati fatti da tutti”. In una fase piuttosto confusa dell’azione del governo regionale, insomma, la Cgil chiede trasparenza, tenendo conto che “qui, contrariamente ad altre regioni, non è stato messo in atto un monitoraggio preciso dello stato si salute della popolazione”. Una scelta, quella della Regione, "che la Cgil non ha condiviso”, ricorda Lattuada, e che oggi rende maledettamente più complicata anche la programmazione del ritorno al lavoro.

L’economia regionale, però, in questo ultimo mese ha pagato un prezzo altissimo. La Lombardia sta vivendo una recessione economica senza precedenti. La Confcommercio di Milano, Monza e Lodi ha annunciato ieri un miliardo e 857 milioni di spesa mancante nel solo marzo, il 31,1% della spesa mensile delle famiglie. “E’ evidente che c’è una situazione economica drammatica - continua Lattuada - ma prima di dire semplicemente ‘ripartiamo’, bisognerebbe capire cosa far riaprire, e come. Un pezzo consistente di attività produttiva, qui, non s’è mai fermata. Il 48-50% delle imprese lombarde non hanno mai chiuso”.

Dentro questi dati c’è una bella fetta di smartworking, ma “non è tutto lavoro agile”. Certo, “nelle grandi aziende dell’area metropolitana di Milano si è inziato a lavorare a distanza, ma la situazione in altre province è molto diversa. Nella Bergamasca, ad esempio, un bel pezzo di attività manifatturiera è andata avanti con i lavoratori in azienda”. Per sapere cosa fare dal 4 maggio in poi, insomma, bisogna prima capire cos’è stato fatto finora, e anche come agire nei diversi comparti.

Per Lattuada è dunque necessario specificare l’impatto dei vari settori su Pil e capire quali siano i settori davvero indispensabili al sostegno dell’economia. Alcune attività importanti, che danno valore aggiunto all’economia regionale come turismo e cultura, non riapriranno di certo. Quindi "bisognerebbe organizzare una riapertura graduale e per settori, all’interno della quale studiare il modo migliore per proteggere le persone”. Anche la richiesta di una maggiore flessibilità sui nastri orari non può essere una scelta uguale per tutti, “perché in alcuni comparti, come nel ciclo continuo e nella grande distribuzione, non c’è un numero sufficiente di lavoratori per aumentare i turni”.

Resta infine, secondo la segretaria generale della Cgil lombarda, l’esigenza di “proteggere l’occupazione e il reddito dei lavoratori”, utilizzando “gli strumenti più adatti, e magari proseguendo con gli ammortizzatori o con contratti di solidarietà”. Anche in questo caso, però, “per agire su modelli organizzativi diversi”, servono “accordi territoriali, aziendali e di filiera”. Serve “una condivisione ampia, perché non può funzionare la logica della autodeterminazione tanto cara al presidente di Confindustria Lombardia”. Bisogna, insomma, fare ricorso alla vecchia, cara contrattazione.