Massimiliano Liani è dirigente infermieristico presso una Rsa e clinica convenzionata per la riabilitazione di Roma e, anche, sindaco di un piccolo Comune vicino alla Capitale, Cineto Romano. Due fronti dai quali si trova a combattere spesso a mani nude – e non solo metaforicamente – contro il coronavirus che colpisce soprattutto la popolazione anziana spesso concentrata, oltreché nelle strutture dedicate, proprio nei piccoli paesi. Nei giorni scorsi, nel suo ruolo di primo cittadino, ha rivolto un appello al ministro della Salute, Roberto Speranza, per l’immediata applicazione dei protocolli sottoscritti da sindacati e ministero sulla sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro il 14 e 23 marzo.

Come ormai ben sappiamo, le strutture di ricovero e riabilitazione per anziani sono le più esposte a rischio, in alcune zone d’Italia ormai delle vere e proprie bombe a orologeria. L’accusa di Liani è dura: “Tutto il sistema sanitario e assistenziale nazionale si è trovato impreparato. All’epoca dei primi casi in Italia, già si sapeva che in Cina gli operatori erano i più esposti sia all’ammalarsi sia a diventare veicoli essi stessi di contagio. È incredibile come ci si sia fatti trovare totalmente scoperti nella dotazione di Dpi”.

Liani lavora al Policlinico Italia, struttura convenzionata con la Regione Lazio, che ha 90 posti in Rsa, con 10 “postazioni” intensive (e dunque con respiratori e alimentazione artificiale), una decina di posti per la riabilitazione motoria in day hospital e poi la riabilitazione ordinaria e gli ambulatori. Ad oggi, racconta, “non ci sono casi positivi, ma chi può dirlo? Io, ad esempio, sono appena uscito dal lavoro, ma in mancanza di tamponi potrei essere positivo e dunque essere un veicolo potenziale di infezione”.

Insomma, ci si affida ancora all’azzardo, alla fortuna, che però come è noto non sempre aiuta. Perché l’altro tema, forse ancora più importante, è quello che riguarda i tamponi: “Se per quanto riguarda i dispositivi di protezione ormai le strutture, dopo quel buco di un paio di settimane iniziali, si sono generalmente date da fare, i tamponi continuano a non essere fatti. Nella mia struttura hanno cominciato a farne proprio questa mattina, ma bisogna proseguire massicciamente: solo in questo modo si può garantire agli operatori di lavorare in sicurezza e ai ricoverati anziani, che sono molto fragili, di non essere esposti al rischio contagio. Senza contare che poi, questi stessi operatori la sera tornano a casa ed entrano in contatti con le proprie famiglie, magari con genitori anziani in casa. Insomma, se non si rompe questo circolo non se ne esce”.

Sul fronte Dpi nel Lazio qualcosa sembra muoversi. Proprio oggi la Regione ha annunciato l'arrivo di 1 milione di mascherine Ffp2 e 200 mila camici per la protezione degli operatori sanitari dal rischio di contagio da coronavirus. Per i tamponi ancora però bisogna aspettare.

Giustamente in questi giorni altri provvedimenti del governo hanno enfatizzato il ruolo strategico dei Comuni, soprattutto nella tutela dei soggetti più deboli. Anche qui però molto non è ancora sotto controllo. “Abbiamo persone che ad esempio portano la spesa a domicilio agli anziani. Ma le mascherine che ci ha fornito la Protezione Civile per proteggere gli operatori stessi e gli anziani erano totalmente inadeguate – attacca Liani –. Ho dovuto acquistarle come sindaco attingendo al bilancio e per quello che sono riuscito a trovare sul mercato”.

Un paradosso, ma è così. Nella confusione generale è accaduto anche che 620.000 mascherine inviate ieri agli Ordini dei Medici dalla Protezione civile sono risultate in idonee. Il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli, ha chiesto ai colleghi “di sospenderne immediatamente la distribuzione e l'utilizzo”. Forse un po’ più di chiarezza e di rigore non guasterebbero in una situazione d’emergenza come questa.