Alla Belelli di Mantova, attiva nel settore della meccanica per reattori, raffinerie, impianti chimici e petrolchimici, centrali elettriche e nucleari, la direzione non rende noto i motivi della richiesta di deroga. “Ci piacerebbe sapere il perché, ma non ci è stato detto - racconta Alessandro Dian, rsu Fiom - . Nell’ultimo incontro dopo l’ultimo decreto ci avevano detto che si stavano preparando alla chiusura, in realtà hanno fatto domanda di deroga via mail al prefetto, ma a noi non hanno fatto sapere nulla e non sappiamo come siamo collegati a una delle filiere che devono rimanere aperte”. Sul fronte sicurezza, le mascherine sono state distribuite, ma con parsimonia perché di difficile reperibilità, il protocollo è stato applicato e sono stati scaglionati i turni mensa e quelli di lavoro, negli uffici sono state fatte le sanificazioni, meno nei reparti perché la struttura lo rende difficile, il livello di attenzione è aumentato, ma Dian fa sapere che il sindacato ritiene che “si sarebbe potuto fare di più e che comunque si sarebbe dovuta interrompere la produzione, per il numero di persone presenti negli uffici, nello stabilimento, nelle mense, negli spogliatoi durante le docce”.

“Sarebbe poi stato un buon gesto - prosegue - consegnare all’ospedale di Mantova le nostre mascherine, perché lì scarseggiano, ma per l’azienda c’è solamente l’interesse ad andare avanti e dimostrare all’opinione pubblica che loro comunque non si fermano e consegnano pezzi. La gente è preoccupata e soprattutto i giovani, anche non sindacalizzati, ci chiedono perché non ci sia stato lo stop, ma noi non lo sappiamo”. Alla Belelli non ci sono casi conclamati di contagio, ma nella provincia di Mantova stanno aumentando: “Siamo abbastanza arrabbiati - conclude Dian -, perché, anche se collegati al settore farmaceutico (anche se io ho qualche dubbio), gli apparecchi che produciamo, per la loro tipologia, sono destinati ad entrare in funzione tra un anno, non subito. Quindi non si capisce quale nostro ramo possa rientrare nella deroga”.

Diverso è il caso di un’altra azienda del settore metalmeccanico, la Gilardoni, in provincia di Lecco. Anche qui i lavoratori hanno paura, ma sanno che quanto producono, vale a dire strumentazioni biomediche (come le macchine per effettuare le radiografie ai polmoni) e impianti di sicurezza, sono necessarie soprattutto in questo momento emergenziale. Sergio Carugno, delegato Fiom, spiega che sono state applicate tutte le misure previste dal protocollo di sicurezza per contrastare il Covid-19: “Ci sono state le affissioni, la distribuzione dei depliant, limitati gli accessi di personale esterno per garantire solo attività utili e la direzione ci ha comunicato che negli ultimi quattordici giorni non ci sono sati contatti con soggetti positivi. E in azienda non ci sono stati casi di contagio e che ai lavoratori che hanno avvisato di avere alcuni sintomi influenzali è stato consigliato di stare a casa. C’è un medico aziendale specialista che è sempre in contatto con noi e con l’azienda”. L’assistenza all’esterno degli stabilimenti è limitata alle emergenze, ad esempio negli ospedali, e agli operatori sono fornite mascherine ffp3, guanti adeguati, mascherine, occhiali e tute integrali. Per i trasporti verso e dal lavoro, non sono necessarie precauzioni perché la zona è periferica alla città, è raggiunta solamente dalla ferrovia e i lavoratori si recano negli stabilimenti a piedi o con la propria auto. 

E poi c’è il senso civico dei lavoratori. “All’inizio eravamo scettici sul proseguire la produzione - dice Carugno -, c’era paura da parte di tutti, poi però l’azienda si è mossa subito con le azioni previste: ha diviso il lavoro in due turni (115 persone alla volta presenti in fabbrica, per evitare assembramenti) oltre un metro di distanziamento tra i dipendenti e, quando la tipologia di lavoro richiede la compresenza di due persone, le misure sono le stesse di quelle predisposte per i lavoratori esterni. E poi è disponibile il disinfettante dove è necessario, la mensa è stata quasi abolita e, per chi vuole, viene fornito un ‘pranzo al sacco’. Gli impiegati sono quasi tutti in smart working, alcuni hanno preso le ferie arretrate. Cerchiamo di andare avanti il più possibile, vediamo come si evolve la situazione. Noi facciamo prodotti di pubblica utilità e il nostro datore di lavoro non vuole chiudere e ci fornisce tutte le informazioni che noi chiediamo”.