Non è più il tempo dei consigli e delle raccomandazioni. Perché di tempo non ce n’è. Ora è solo il tempo delle scelte e delle decisioni, anche drastiche. E delle responsabilità condivise. Nel Paese il virus si diffonde ad una velocità preoccupante. La situazione dei presidi sanitari è al collasso e agli stessi operatori sono richieste prestazioni orarie e carichi di lavoro già insostenibili. Un contesto che ha spinto Cgil, Cisl e Uil a scrivere alle associazioni datoriali per concordare con loro “una riduzione modulata (dal rallentamento fino alla sospensione momentanea) dell’attività lavorativa manifatturiera e dei servizi.

Una scelta radicale ma dettata da un obiettivo comune: “Lavorare in sicurezza e tutelare la salute nei luoghi di lavoro per sconfiggere il Virus sono la condizione necessaria per rilanciare, il più presto possibile, la nostra economia e difendere l’occupazione”. Nella lettera i tre segretari Landini, Furlan e Barbagallo si rivolgono direttamente ai presidenti delle associazioni imprenditoriali affinché “sia possibile mandare messaggi comuni e chiari alle lavoratrici e ai lavoratori ed ai datori di lavoro”. L’obiettivo è “negoziare intese specifiche capaci a livello territoriale e nei luoghi di lavoro, di gestire la situazione difficile ed inedita che ci troviamo a dover affrontare”. Il testo è indirizzato, per conoscenza, anche al presidente del Consiglio Conte con l’esplicita richiesta che nel prossimo decreto siano prese “adeguate decisioni sul sistema degli ammortizzatori sociali e tutti gli interventi di sostegno al lavoro, alle famiglie e alle imprese”.

Lo chiedono i sindacati al livello nazionale e, a cascata, i regionali. In Lombardia, dove il Covid-19 continua inarrestabile il suo contagio, i segretari di Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto al governatore Fontana di fermare ogni attività economica, produttiva, di servizio che non sia essenziale. “Le misure sin qui messe in campo non sono sufficienti; - scrivono - se milioni di persone continuano a doversi muovere nei nostri territori per andare a lavorare, se viaggiano a stretta vicinanza sui mezzi pubblici, se lavorano fianco a fianco nelle fabbriche, negli uffici, nelle aziende di servizi, le probabilità di contagio restano altissime”.

Ma l’allarme non è solo lombardo. Da ventiquattro ore tutta l’Italia è un’unica zona rossa. Anche in Emilia Romagna le tre confederazioni chiedono risposte certe e soprattutto coerenza normativa “tra quanto accade fuori dai luoghi di lavoro e quanto accade nello svolgimento delle attività lavorative. È compito del datore di lavoro assicurare tutte le misure organizzative volte a garantire la salute e la sicurezza e dei lavoratori”. Sembra scontato ma è ciò che non sta succedendo.