Provate per un attimo a mettervi nei panni di Anna, che ha 76 anni e dopo una vita passata tra Roma e l'estero, ha deciso di fare ritorno nella sua città natale, Norcia, in Valnerina. Succede che a un certo punto Anna ha bisogno di un appuntamento con l'otorino. Niente di grave né urgente, ma alla sua età prendersi cura dell'udito è comunque importante. Il suo medico le prescrive la visita e lei si presenta al Cup dove le viene detto: cara signora, non c'è posto, non possiamo metterla in lista. Anna non si dà per vinta e qualche giorno dopo si presenta in farmacia e ritenta. Questa volta l'appuntamento c'è, ma ad Orvieto, che si trova a circa 130 chilometri di distanza, non di autostrada (che in Umbria non c'è), ma di curve e tornanti tra le montagne, da un'area interna all'altra del sud della regione. In auto ci vogliono almeno 2 ore e Anna non se la sente proprio. Quindi ancora una volta niente visita. 

Il cortocircuito 

Succede poi che qualche tempo dopo la nostra si trova a Perugia, per una visita ad alcuni parenti e amici. Per caso, accompagnando un'altra persona, finisce in una farmacia e trovandosi la ricetta in tasca pensa: perché non fare un altro tentativo? Magari mi trovano un posto qui, dove comunque mi è più facile arrivare. Ora, immaginate la sorpresa, ma anche il disorientamento di Anna, quando si sente dire dalla gentile farmacista perugina che l'appuntamento lo avrebbe avuto la settimana successiva, a Norcia. Cortocircuito. 

"Non siamo pacchi"

“All'inizio ho pensato ad un errore – confessa Anna – oppure che si fosse liberato un posto all'ultimo momento, ma mi hanno detto che no, in realtà il posto c'era già da un po'. Allora mi domando: ma come è possibile? Perché spedire le persone come pacchi da una parte all'altra della regione? Perché mettere soprattutto le persone anziane nella condizione di non potersi curare?”. Interrogativi che rimbalzano ormai da diverso tempo in una terra come l'Umbria, fino a qualche anno fa regione “benchmark” (che vorrebbe dire “modello”) in materia di sanità, poi travolta da concorsopoli, da una pandemia e da una destra di governo che non hai mai nascosto la sua intenzione di fare largo al privato, come messo nero su bianco nelle linee programmatiche di inizio mandato dalla presidente leghista Donatella Tesei: “Strategico sarà potenziare il tasso di coinvolgimento del privato, in Umbria pari a meno di 1/3 di quello della Lombardia”. 

Liste d'attesa appaltate ai privati

Un impegno che la giunta ha preso sul serio. Prima durante l'emergenza pandemica, con un accordo siglato con le cliniche private per il loro coinvolgimento nello smaltimento delle prestazioni ospedaliere extra-covid. E ora di nuovo, “appaltando” ai privati convenzionati il 70% delle prestazioni che ingrossano le liste d'attesa della sanità umbra, in tutto 74mila alla fine di aprile (oggi probabilmente anche di più). Sul piatto ci sono 7 milioni di euro, con l'obiettivo dichiarato di azzerare l'arretrato entro il 31 luglio 2023. E 22 strutture private hanno risposto all'appello. 

Cgil: è un fallimento

"Siamo di fronte al fallimento di questa Regione in materia di sanità e diritto alla salute di cittadine e cittadini”: commentano Maria Rita Paggio, segretaria generale della Cgil Umbria, e Desiree Marchetti, segretaria generale della Funzione Pubblica, la categoria di lavoratrici e lavoratori della sanità. "La giunta regionale con questo atto non solo fa un grande regalo alla sanità privata, creando un precedente importante e inedito nella nostra regione, ma sposta soprattutto risorse che dovrebbero invece servire a rafforzare strutturalmente il sistema sanitario regionale pubblico, in primo luogo attraverso quelle assunzioni di personale promesse da anni e mai effettuate. D’altronde - proseguono Paggio e Marchetti - la strisciante privatizzazione della sanità in Umbria è stata sin dal principio un obiettivo di questa giunta”. 

Servono 5mila assunzioni

L'esatto contrario di quello che servirebbe secondo la Cgil, che chiede da tempo un piano straordinario di assunzioni nella sanità pubblica, di medici ospedalieri, medici di base e soprattutto infermieri, che il sindacato calcola nell'ordine di 5000 unità nei prossimi 6-9 anni. Tra carenze già in essere e pensionamenti nel breve periodo, infatti, la situazione della sanità pubblica umbra rischia di scivolare ulteriormente verso il basso. E con questo quadro è facile capire che qualsiasi piano di smaltimento delle liste d'attesa rischia di essere mera propaganda (e tra 10 mesi in Umbria si vota per la Regione).

L'operatore del Cup: carenza personale è vero nodo

“Tra domanda e offerta di prestazioni c'è un abisso e anche impegnando i privati convenzionati non riusciamo assolutamente ad andare in paro – racconta un operatore del Cup, il servizio regionale di prenotazione -  Sicuramente c'è un problema di adeguatezza delle prescrizioni, lo vedi quando ti trovi un 90enne che prenota una risonanza urgente al ginocchio. Ma accanto a questo c'è il vero nodo: la carenza di personale che determina l'impossibilità di garantire le prestazioni. Guardate, noi possiamo inventarci di tutto, anche le prenotazioni per telepatia, o i servizi aperti 25 ore al giorno, ma se non abbiamo le persone che quelle visite e quegli esami devono garantirli, noi gli appuntamenti non possiamo darli”. 

Spinti verso il privato

Questo è anche il motivo della “transumanza” dei pazienti, che vengono mandati laddove c'è una sempre più rara disponibilità, quindi spesso nei luoghi più periferici. E, attenzione, se rifiutano l'appuntamento, il problema è “risolto” perché vengono buttati fuori dal sistema. Ecco così che per molti allora la soluzione di rivolgersi al privato diventa l'unica possibile, anche perché tra spese per il ticket e magari un taxi extraurbano, va a finire che il pubblico costa tanto quanto, se non di più. “La cosa più triste è che le persone si stanno rassegnando a questa situazione – osserva ancora un'operatrice del centro unico di prenotazione – In altri tempi dopo un annuncio come quello fatto dalla Regione, che vuole azzerare le liste d'attesa, avremmo avuto i telefoni infuocati, invece non è così. A crescere sono solo rabbia e frustrazione di chi si vede negare un appuntamento e riversa ovviamente su di noi, che siamo in prima linea, tutto il suo malcontento”.