Le famiglie italiane non possono godere dei benefici del calo dell’inflazione come della flessione dei prezzi dell’energia perché i salari medi sono ancora troppo bassi e non hanno recuperato abbastanza per compensare il divario inflattivo. La nota congiunturale di marzo dell’Ufficio studi & ricerche della Fisac Cgil certifica così quanto un gran numero di italiani sta sperimentando quotidianamente nella propria quotidianità.

Il quadro delineato dallo studio si inserisce “in un quadro macroeconomico definito ‘high for longer’, ovvero fatto di tassi di interesse elevati per molto tempo”. La segretaria generale della Fisac Cgil, Susy Esposito, evidenzia come “l’ipotizzato rischio di forte recessione non si è, al momento, palesato nonostante una inflazione in lenta diminuzione e una politica monetaria che continua a essere restrittiva. Ma il mondo del lavoro fatica sotto il peso di un fisco ingiusto, che grava su dipendenti e pensionati e che incentiva l’evasione mentre intere categorie economiche continuano a non pagare le imposte dovute. Ed è anche per questo che sciopereremo l’11 aprile insieme alla Uil, perché ‘Adesso Basta!’, è ora di una giusta riforma fiscale”.

Inflazione e salari

Nella nota della Fisac si legge che l’incremento dei salari “seppur in recupero grazie alla contrattazione, è ancora abbondantemente lontano dal compensare pienamente il divario inflattivo: la decisa decelerazione dell’inflazione nel corso del 2023 ha ridotto la distanza tra la dinamica dei prezzi (Ipca) e le retribuzioni contrattuali a circa tre punti percentuali, meno della metà di quella osservata nel 2022”. Un dato “fortemente influenzato dai rinnovi contrattuali dei settori pubblici, meno da quelli dei settori privati”.

Viene poi spiegato che alla fine del 2023 nei 44 contratti in vigore per la parte economica solo il 47,6% dei dipendenti totali risultava coperto, mentre ben 6,5 milioni di lavoratori (il 52,6%) attendono il rinnovo dei loro 29 contratti nazionali. D‘altronde ce lo dice anche l’Istat: per i lavoratori con contratto scaduto il tempo medio di attesa di rinnovo è aumentato in un anno nel corso del 2023, arrivando a una media di 32,2 mesi.

Tassi bancari, depositi e prestiti

I tassi sono in calo, riporta la Fisac Cgil che nella nota porta gli esempi di Euribor a 3 mesi e di EurIRS a 10 anni, precisando però che il calo dei tassi di riferimento “non ha ancora determinato una inversione di tendenza: a febbraio 2024 il credito alle famiglie e alle società non finanziarie risulta ancora in contrazione del 2,7%. Secondo dati del Crif (Centrale rischi finanziari) per il 2023 la domanda di mutui delle famiglie si è ridotta del 17,2% rispetto al 2022, mentre a settembre dello stesso anno i nuovi mutui erogati segnavano una diminuzione del 24%”.

Dato interessante: il 38,8% dei mutui richiesti ha durata tra i 25/30 anni e l’età dei richiedenti è tra i 45 e i 75 anni per più di un terzo, mentre i più giovani sono meno del 30%.

Inoltre, secondo l’Abi, nel primo mese del 2024, risultano in aumento le sofferenze bancarie al netto delle svalutazioni. L’incremento, pari a 2,2 miliardi di euro, è certamente collegato alle crescenti difficoltà del comparto piccole imprese nel far fronte al costo del credito. “Tuttavia, in termini assoluti, siamo ancora molto lontani – spiega la nota della Fisac Cgil – rispetto al picco di 88,8 miliardi di euro di sofferenze nette raggiunto dal sistema bancario italiano nell’ultimo trimestre 2015”.

“Viviamo un momento di grandi contraddizioni”

È la considerazione dalla quale parte Esposito per spiegare che “alti tassi di interesse fanno aumentare il rischio di un ‘hard landing’, di un atterraggio critico che presuppone recessione, perdita di posti di lavoro e impoverimento delle famiglie”, ma “queste conseguenze non si sono determinate: siamo in una dimensione di ‘soft landing’ dove però aumentano diseguaglianze e povertà e dove la ricchezza è sempre più polarizzata”.

Viviamo in un Paese che “è completamente immerso in queste contraddizioni – prosegue la segretaria generale -, acuite dalle storiche carenze strutturali. Dopo alcuni ed eccezionali anni di crescita, frutto di politiche post pandemia, siamo tornati a valori poco superiori allo zero mentre viene consegnata agli effetti del Pnrr (e dei suoi ritardi ed incognite) una qualche risposta.

Le politiche del governo, che celebra apparenti tassi di occupazione e reddito più elevati, mentre la disoccupazione giovanile continua ad essere la seconda più elevata d’Europa e la precarietà imperversa, ignorano i bisogni della maggioranza di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, favorendo viceversa, attraverso il fisco, le fasce più benestanti della popolazione. Adesso Basta: l’11 aprile sarà sciopero generale”.