S’erano dati appuntamento nell’aula numero uno di Lettere, poi hanno traslocato nell’Aula Magna del Rettorato. Alla fine sono usciti fuori, sulla scalinata di piazza della Minerva, e sotto e attorno alla fontana. Erano troppi, non c’entravano. L’assemblea anti-Gelmini degli studenti romani alla Sapienza è finita così: sotto al sole (l’Unione degli studenti universitari parla di dieci mila presenti), e poi in corteo fino al ministero dell’Economia, dov’è a parer loro il vero mandante dei tagli gelminiani: il dottor Tremonti, of course.


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C’era pure il neo rettore (per la verità ancora pro rettore vicario) Luigi Frati, su quelle scale universitarie. Cori di studenti a intermittenza gli chiedevano “blocco subito!” (il blocco della didattica, lo stop dell’ateneo). Ma lui, quando ha preso la parola (microfono in mano, giacca e cravatta, al lato dell’amplificatore e delle casse stridenti), ha scelto un incipit poco promettente: “Non spetta a me....”. E subito s’è diffuso il borbottio dei delusi: non spetta a lui? Allora a chi? Poi Frati ha detto che il blocco della didattica non serve e non lo proporrà al senato accademico. Quindi la palla della mobilitazione contro la legge 133 (la finanziaria estiva con la quale il governo Berlusconi – ripete il mantra della piazza - ha deciso una serie di tagli al settore della conoscenza, ha bloccato le stabilizzazioni dei precari previste dal protocollo sul welfare e ha promosso la trasformazione degli atenei italiani in fondazioni private) resta in mano a studenti, docenti e personale amministrativo. In attesa dello sciopero del 14 novembre, cui lo stesso Frati si è richiamato per “costruire insieme” una piattaforma con Cgil-Cisl-Uil.

Ma prima del rettore – procediamo con ordine – hanno parlato gli studenti. Ascoltati da un pubblico simpatetico di coetanei vestiti proprio normale (jeans, qualche borsa firmata le ragazze, t-shirt. Unica eccezione: un ragazzo con taglio punk e maglietta dei Metallica, poco coerente per la verità). Studenti veri, mica professionisti del movimento (ce ne sono ancora, by the way?). E insieme a loro anche qualche giovane docente, magari ricercatore precario o professore in carriera con giacca fresco lana e occhiali Armani. E pure i soliti poliziotti in borghese, uno dei quali dev’essere uno specialista del settore perché frequentava le occupazioni studentesche anche vent’anni fa, ai tempi della Pantera. Insomma, esclusi i poliziotti, le politiche del governo sulla conoscenza stanno mettendo d’accordo tutti, stanno creando un bel fronte di disgusto nell’università.

Allora tutti a parlare, e molti ad applaudire. Il ragazzo di fisica, che usa il linguaggio che conosce meglio: “Le nostre molte linee (politiche, delle diverse facoltà, ndr) siano vortici diversi di una stessa corrente!”. La studentessa con taglio rasta di Psicologia, che ricorda come anche docenti e tecnici della sua facoltà siano mobilitati insieme ai ragazzi. Lo studente di Economia, a proposito del blocco del turnover: “Ma la Gelmini vuole mettere il maestro unico anche all’università?”. La ragazza di Giurisprudenza: “L’università e nostra, è degli studenti. E ce la vogliamo riprendere”. La sua collega di Medicina, che racconta con orgoglio di aver portato 350 colleghi in piazza oggi (da una facoltà notoriamente pigra). E poi lo studente di Scienze politiche, che ricorda la pantera di 20 anni fa (il felino che vagava tra Lazio e Toscana e ispirò il movimento di allora): “Anche in questi giorni – dice – è scappata una pantera. È successo in Irpinia. Blocco subito!”.

Alla fine tocca al prossimo, nuovo rettore. Gli studenti nella piazza zittiscono. Non vola una mosca e Frati inizia a spiegare: “Non spetta a me...” (e questo già s’è scritto), e poi: “Le risposte secche sono insufficienti rispetto all’analisi politica del problema (...). Dieci anni di politiche di centrodestra e centrosinistra hanno tagliato i finanziamenti a università e ricerca”. Quindi il no al progetto delle fondazioni: “Un progetto cretino – dice Frati – perché l’università, come la giustizia, come la scuola, non è privatizzabile, e chi lo pensa è fuori dalla Costituzione”. Parla a lungo Frati, ma non risponde alla domanda degli studenti (“blocchi o non blocchi?”), che perdono la pazienza, iniziano a interromperlo, e lui alla fine deve dirlo che no, non blocca: “E’ un mezzo inadeguato”. In molti lo fischiano, qualcuno però lo applaude pure. Un ragazzo lo contesta, gli grida “barone”. Ma Frati la risposta ce l’ha pronta: “Io sono figlio di un operaio, quindi barone te lo dici per te”. Poi se ne va.

E gli studenti restano lì. Insoddisfatti. Un ragazzo prende la parola e parla di “demagogia del rettore”, poi invita a proseguire la mobilitazione, a farla crescere, a essere in molti al prossimo appuntamento davanti al Senato accademico (tra qualche giorno, di nuovo per chiedere lo stop della didattica). Quindi parte lo slogan liberatorio: corteo, “usciamo fuori”. La meta? L’ufficio di Tremonti, è già deciso. E tutti vanno. La protesta finirà nel pomeriggio alla stazione Termini, con tre binari bloccati (il 3, il 4 e il 5). E con la decisione - informa un lancio dell'Ansa nel tardo pomeriggio - di occupare la facoltà di Lettere, senza però bloccare la didattica. Dunque, per il momento, si continuerà ad andare a lezione.