I fatti accaduti a Pisa sono chiari: studenti delle superiori, molti dei quali minorenni, che manifestavano a viso scoperto per la pace in Palestina, sono stati manganellati selvaggiamente dalla polizia. Nello stesso giorno, la polizia ha attaccato giovani manifestanti a Firenze. Le immagini, che non lasciano dubbi ed evocano le mattanze del G8 a Genova - per cui l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti Umani, hanno fatto velocemente il giro del mondo. Immediata la condanna della rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna e del rettore della Scuola Normale Superiore che hanno dichiarato: “L’uso della violenza è inammissibile di fronte alla pacifica manifestazione delle idee” e che “fatti come questi non possono e non devono ripetersi”. Solidarietà agli agenti di polizia è stata espressa da deputati della maggioranza di governo con dichiarazioni che millantano la presenza di “gente incappucciata” (Ziello, Lega) o di “marce sulla Sinagoga di Pisa” (Donzelli, FdI).

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Basta visionare i filmati o avere un minimo di dimestichezza con Google maps per rendersi conto che tali affermazioni sono false e al limite del depistaggio. I fatti cruenti di Pisa sono stati condannati anche dal sindaco Conti (Lega) e hanno spinto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ad inviare una nota al ministro Piantedosi in cui si afferma che “l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”. Purtroppo, le dichiarazioni del presidente della Repubblica sono state ignorate dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Tale comportamento non deve stupire se si considerano i provvedimenti del governo volti a ridurre il diritto di riunione pubblica, sancito dall’art. 17 della Costituzione, e, più in generale, la libertà di espressione e di stampa. L’elenco è lungo: il decreto rave; la stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni della legge Nordio; il pacchetto sicurezza che qualifica come reato i blocchi stradali, minacciando così il diritto di sciopero, e che introduce il pugno duro contro le proteste ambientaliste, subendo la recente condanna di un rapporto dell’ONU; la proposta del ministro Valditara di introdurre una presunzione di colpevolezza e l’eventuale bocciatura per gli studenti che occupano le scuole, le precettazioni del ministro Salvini contro i lavoratori in sciopero, etc. Questi provvedimenti rimandano tristemente a svolte autoritarie sudamericane, come quella recente del presidente anarco-capitalista argentino Milei che sta incessantemente cercando di limitare i diritti di manifestazione, espressione e sciopero scontrandosi con la popolazione.

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Se si considerano l’occupazione quasi militare degli organi d’informazione pubblica, la presenza di numerose testate e giornalisti che, parafrasando Victor Hugo, pagherebbero per vendersi, e le paventate “riforme” istituzionali che ambiscono a rendere l’Italia l’unico Paese al mondo con l’elezione diretta del premier, siamo di fronte al rischio di una deriva autoritaria strisciante che preferisce la cooptazione e l’ostracismo all’olio di ricino. Sarebbe però troppo facile riferirsi alle radici fasciste del principale partito di governo o alla deriva illiberale “orbaniana” che sta minando la democrazia di molti Paesi.

È invece necessario considerare le dinamiche dei rapporti sociali ed economici avvenute in Italia. In particolare, bisogna fare i conti le politiche economiche neo-liberiste inflitte al nostro Paese negli ultimi decenni (ad eccezione del governo Conte II) che hanno colpito le classi medie e basse della popolazione, inquinando il dibattito politico e sociale. Come scrissi con Giovanni Dosi su il Mulino alla vigilia delle ultime elezioni, la rinuncia dei partiti di sinistra a difendere i diritti sociali dei lavoratori (e degli studenti) ha portato all’elezione di un governo di destra che promuove un nuovo esperimento sociale, dove politiche economiche neo-liberiste più aspre di quelle dell’Agenda Draghi si saldano con la costruzione di identità collettive con ascendenze fasciste - la "nazione", la famiglia, le "origini cristiane", l’ordine, la sicurezza, l’odio verso gli "altri", la donna forte al commando, ecc.

Come docente di un istituto universitario pisano, padre di una studentessa minorenne, e cittadino sono molto preoccupato della deriva del nostro Paese. Le democrazie possono infatti morire lentamente, senza marce squadriste o colpi di Stato. Bisogna quindi ricostruire al più presto identità collettive solidali ed egualitarie per difendere e rafforzare i diritti sociali e civili dei cittadini e promuovere una crescita economica che riduca le disugliaglianze. Il primo passo è imparare dagli studenti di Pisa e dai lavoratori della ex-GKN di Campi Bisenzio (la più lunga occupazione di fabbrica d’Italia) che stanno continuando a manifestare e lottare per affermare i propri diritti.

Andrea Roventini è professore di economia politica e direttore dell’Istituto di Economia alla Scuola Superiore Sant’Anna

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