Contratti che durano pochissimi giorni, lavoretti pagati con i voucher, part time involontari. E ancora: rapporti irregolari, finti autonomi, a termine. Il mondo della precarietà in Italia è davvero variegato e radicato in tutti i settori, pubblico e privato, compresi gli ambiti che invece avrebbero bisogno di maggiori investimenti: scuola, università, pubblica amministrazione, centri per l’impiego, sanità.

Una manovra senza risposte

Come è accaduto negli anni scorsi, anche in questa legge di bilancio non c’è granché per combattere la piaga: agevolazioni a favore delle imprese per le nuove assunzioni, incentivi per trasformazione contratti per genitori con almeno tre figli, detassazioni per i turni notturni e festivi.

Briciole elargite sotto forma di bonus a favore delle aziende, che sulla carta mirano a stimolare un’occupazione stabile e giovanile e a potenziare gli ammortizzatori sociali, ma che non sono in grado di spostare di una virgola la situazione attuale. Per questo la Cgil scende il piazza il 25 ottobre per la manifestazione nazionale Democrazia al lavoro, a Roma in piazza della Repubblica alle 13.30.  

Povertà galoppante

“Gli ultimi dati sulla povertà ci dicono che in questi anni la condizione delle persone è peggiorata – afferma Mari Grazia Gabrielli, segretaria confederale della Cgil –. Se analizziamo il calo della produzione industriale, i cui tassi di crescita sono pari allo zero virgola, e le stime future, possiamo affermare che la situazione attuale è difficile e che in prospettiva i lavoratori incontreranno e si dovranno misurare con ulteriori problemi. È incontrovertibile il dato secondo il quale si registra una crescita dell’occupazione, ma è altrettanto vero che questa crescita riguarda gli over 55. Mentre i numeri dei disoccupati, dei neet e di chi ha difficoltà a entrare nel mondo del lavoro, perlomeno di un lavoro stabile, sicuro, dignitoso e qualificato, non sono stati scalfiti da questa crescita, perché gli elementi negativi che ne impediscono l’ingresso sono ancora tutti lì”.

Milioni di precari

I dati parlano chiaro. Secondo l’Istat, ci sono 2,6 milioni dipendenti a termine: questo tipo di rapporti va limitato alle esigenze realmente temporanee delle aziende e legato a specifiche causali di utilizzo. Sono ancora di più i part time involontari, che arrivano a quota 3,2 milioni di dipendenti, per la maggior parte donne.

“In questo caso vanno definite misure per consolidare gli orari di lavoro e introdurre specifici sostegni al reddito per i part time ciclici”, sostiene Gabrielli.

Capitolo occasionale: tra Presto e Libretto famiglia nel 2024 sono state lavorate oltre 6,5 milioni di ore: per la Cgil vanno eliminate tutte le forme di voucher che alimentano e giustificano la logica del lavoretto e del lavoro al minor costo.

Irregolarità e sommerso

Nell’ambito del lavoro domestico si contano oltre 800 mila occupati, con un tasso di irregolarità pari al 47 per cento. “Il lavoro domestico, che spesso costituisce un sostegno all’interno delle famiglie con le figure delle badanti e delle baby sitter – prosegue Gabrielli –, e quello nell’agricoltura, nel turismo, nel commercio, quando sono sommersi rappresentano un elemento di grande diseconomia sociale per il Paese: sottraggono fiscalità, contribuzione, stabilità. Vanno rafforzati diritti e tutele e introdotte misure di contrasto e di emersione”.

L’economia sommersa in Italia vale 185,3 miliardi di euro e interessa più di 3 milioni di lavoratori nel 2023 (dati Istat): lavoro irregolare, appalti non genuini, intermediazioni illecite, finte cooperative, sfruttamento. “Servono più ispezioni, va vietato il subappalto a cascata, rafforzate le sanzioni, generalizzati gli indici di congruità e introdotti indicatori sintetici di affidabilità contributiva efficaci” prosegue la leader sindacale.

Autonomi senza tutele

Le facce della precarietà non si fermano qui. Ci sono i lavoratori autonomi, 5,2 milioni di occupati indipendenti di cui 3,3 milioni di autonomi puri, cioè senza dipendenti: per loro va definita una vera norma per garantire l’equo compenso a tutti, basato sui contratti collettivi e non sulle tariffe al ribasso.

Secondo la Cgil va esteso e rafforzato l’Iscro, l’unico strumento di sostegno al reddito nei periodi di calo o assenza di attività, vanno ampliate le tutele sociali come maternità, malattia e infortunio, va garantito l’accesso alle politiche attive e alla formazione.

Pochissimo per le politiche attive

D’altro canto l’Italia spende pochissimo, lo 0,22 per cento del Pil, in politiche attive (fonte Inapp): per garantire il diritto all’orientamento, alla formazione e alla riqualificazione e per rimuovere gli ostacoli che tengono ai margini del mercato del lavoro donne, giovani, migranti, occorrono più risorse e investimenti in politiche settoriali per le transizioni ambientali, digitali, demografiche e conseguenti all’introduzione dell’intelligenza artificiale.

Nelle transizioni e nelle crisi va introdotto uno specifico ammortizzatore sociale strutturale che superi l’attuale frammentazione, il carattere emergenziale degli interventi e che tuteli tutti i lavoratori indipendentemente dalla tipologia di contratto. “Tutto questo nella legge di bilancio non c’è – conclude Maria Grazia Gabrielli –. Al netto di piccoli interventi, i problemi del mondo del lavoro non ricevono alcuna risposta. Per questo scendiamo in piazza il 25 ottobre”.