“Dai testi che ci arrivano della legge di bilancio emerge chiaro che questa manovra è a danno dei lavoratori e del Paese, perché non ci sono investimenti, non si prevede crescita, anzi c’è un peggioramento della situazione”. Così il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a margine della presentazione della ricerca “Industria in crisi, governo assente”, che si è svolta in corso d’Italia.

“L’unica richiesta, tra quelle che abbiamo avanzato, che il governo ha accolto è quella delle risorse per la detassazione dei contratti nazionali. È l’unica cosa nuova, ma resta solo un titolo”, aggiunge.

“A oggi – spiega Landini  – leggendo le bozze, quel provvedimento riguarda solo i settori privati e non i lavoratori pubblici, e solo i salari fino a 28.000 euro lordi l’anno, quindi non riguarda tutti i lavoratori. È evidente che questo provvedimento non permette una reale crescita dei salari”.

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La manovra va assolutamente cambiata

La manovra del governo Meloni non va bene. Per il leader Cgil “è  assolutamente necessario cambiare questa legge di bilancio: non è sufficiente aver accolto una nostra richiesta di detassazione dei salari, perché è stata accolta parzialmente e non modifica il quadro, mentre si continua ad avere una politica che favorisce l’evasione fiscale e non va a prendere i soldi là dove sono veramente”.

È “folle” che il governo raggiunga l'obiettivo di andare sotto il 3% nel rapporto debito-Pil grazie ai 25 miliardi di tasse pagate da lavoratori e pensionati. “L’unica vera spesa pubblica che aumenta nei prossimi tre anni è la spesa per le armi. Non aumenta quella per la sanità, quella per la scuola né quella per i salari”.

Niente su salari, contratti, pensioni

Si conferma dunque una legge di bilancio insufficiente: “La manovra è inadeguata ad affrontare il problema dei salari, delle politiche industriali, del rinnovo dei contratti, di una vera lotta all'evasione fiscale e a un aumento reale degli stipendi e delle pensioni”. È una manovra, aggiunge, “continua a fare cassa bloccando le pensioni, a non affrontare la precarietà, a fare condoni e rottamazioni. Si continua a tassare di più gli stipendi e le pensioni che non i profitti e le rendite finanziarie. Una contraddizione non più accettabile”.

Un passaggio Landini lo ha poi riservato sullo stato della democrazia: “La crisi della democrazia nel nostro Paese è resa evidente dal fatto che c'è circa la metà dei cittadini che a votare non ci va – a suo avviso -. Una crisi che nasce dalla precarietà e dallo sfruttamento del lavoro: quando si è poveri lavorando, vuol dire che c'è qualcosa che non funziona. È sotto gli occhi di tutti l'operazione propagandistica esplicita che va verso una logica autoritaria, lo vediamo nell'informazione, nei confronti della magistratura, del lavoro. Che esista oggi una crisi della nostra democrazia – quindi – è sotto gli occhi di tutti”.

La ricerca: l’industria italiana è in picchiata

Il fatturato dell'industria italiana nel 2024 ha perso 42 miliardi di euro rispetto il 2023, ovvero -115 milioni al giorno, con un calo del 2,5% a prezzi costanti e del 3,6% a valori correnti.  È quanto emerge dal dossier Cgil “Industria in crisi, governo assente”.

Nel particolare, il calo del fatturato 2024 è dovuto principalmente a una domanda interna più debole, oltre il -3%, mentre l'export è calato dell'1,7%. La contrazione del fatturato ha riguardato 10 settori industriali su 15.

È boom dei fallimenti

Le procedure fallimentari nel 2023 hanno segnato +9,8% rispetto al 2022, continuando poi ad aumentare nel 2024 quando hanno segnato +17,2% su 2023. I settori più da fallimenti e liquidazioni sono metalli (48,4%) e moda (41,1%), costruzioni (+25,7%) e industria (+21,2%).

In numeri assoluti, rivela lo studio, i casi sono passati nell'ultimo anno dai 7.848 del 2023 ai 9.194 del 2024 e si concentrano soprattutto nel Nord-Ovest (30% delle procedure), tra le società di capitali (82%) e nei servizi (35%). Particolarmente colpite le aziende più giovani, quelle con meno di cinque anni di vita, che vedono le procedure fallimentari passare dal 2% del 2022 al 12% del 2024. E il governo, evidenzia lo studio, davanti a questi dati non è in grado di intervenire.