Prima la Commissione europea e poi l’Ocse: arrivano da luoghi insospettabili due attacchi impliciti ma pesanti alle politiche italiane in materia di istruzione: dalla scuola all’università. Arrivano a certificare quello che purtroppo già sappiamo: bassi stipendi per gli insegnanti e scarsi investimenti nei settori della conoscenza. Ma andiamo con ordine.

Il report Investing in Education 2025 della Commissione europea evidenzia che l’Italia spende in istruzione molto meno degli altri paesi europei. La cruda realtà è certificata dai dati Eurostat 2023: la spesa nel nostro Paese è inferiore di oltre 2 punti rispetto alla media europea (7,3% contro 9,6%) in rapporto alla spesa pubblica totale; l’Italia spende meno di tutti i 27 Stati europei in rapporto alla spesa pubblica totale e infine, la spesa in rapporto al Pil è al 3,9% mentre la media Ue è del 4,7%.

Numeri come si diceva non nuovi ma che le politiche dell’attuale governo porteranno sicuramente a peggiorare ulteriormente. Del resto, è il commento della Flc Cgil, “la politica ideologicamente ostile alla scuola pubblica è evidente dai tagli operati al personale, ai fondi per il funzionamento, dalla chiusura di 750 istituti e dall'aumento del 50% dei finanziamenti alla scuola privata, passati da 551 milioni di euro nel 2021 a 750 milioni di euro per l'anno scolastico 2024/2025”. E non si arresterà qui, nota il sindacato: “Il duo Meloni-Valditara ha già promesso altri soldi per la scuola privata. Per la scuola pubblica, invece, non vi sono che tagli”.

Docenti italiani tra i meno pagati

Non solo. Il recente rapporto Education at a Glance 2025 dell’Ocse conferma che i docenti della scuola italiana sono tra i meno pagati rispetto agli altri docenti dei paesi europei e anche a livello extra-europeo. Lo stipendio dei docenti italiani è inferiore del 15% (9.800 dollari) rispetto alla media europea e nel caso degli insegnanti di scuola primaria e infanzia siamo addirittura sotto il livello del 2015.

“A questa penalizzazione nei confronti dei colleghi degli altri Paesi – commenta Gianna Fracassi, segretaria generale Flc Cgil – se ne aggiunge un’altra non meno grave in rapporto ai dipendenti pubblici italiani. La retribuzione dei lavoratori del comparto Istruzione e ricerca è inferiore del 22,95% (meno 8.587 euro annui) rispetto alla media retributiva dei lavoratori dei ministeri centrali e del 18,62% (meno 6.804 euro annui) rispetto alla media di tutta la pubblica amministrazione”.

Per i docenti solo mance

Cosa fa il governo rispetto a questa situazione oggettiva? Nulla: per il rinnovo del contratto 2022-24 – di fatto già scaduto – si stanziano in legge di bilancio risorse per incrementi solo del 6% a fronte di un'inflazione del 17% nel triennio contrattuale. Con una beffa: 240 milioni di euro per una mancia una tantum di 10 euro al mese per un solo anno. Duro il commento di Fracassi: “Non sarà certo con queste mance che i docenti italiani e tutto il settore Istruzione e ricerca potranno risalire la china non solo nelle classifiche internazionali ma, soprattutto, nel riconoscimento e nella valorizzazione del lavoro scolastico e della scuola pubblica, che sono una risorsa preziosa e irrinunciabile per l’intero Paese”.

Università: ancora tagli

Non va meglio per l’università. È ancora una volta l’Ocse, nel medesimo rapporto, a ricordarcelo. In Italia per università e ricerca fra pubblico e privato si spende meno dell’1% del Pil contro una media Ocse dell'1,4%. In termini assoluti sono 5 miliardi in meno rispetto alla media Ocse. “Ricordiamo – è il commento amaro della Flc Cgil – che il taglio del fondo di finanziamento ordinario così ingente nel 2024, pari a circa 520 milioni in meno, ha causato un’emergenza tale che ha messo a rischio non solo il bilancio di molti atenei, ma ha generato un’accentuazione degli squilibri del sistema universitario nazionale. E la contrazione di risorse rimane consistente anche nel 2025".

Tutto questo non è estraneo all’altro grande limite del nostro Paese, la bassa percentuale di iscritti e laureati: la Germania ha oltre 3,4 milioni di iscritti a corsi universitari su una popolazione di 83 milioni, la Francia ne ha 2,8 milioni su 65,5 milioni, l’Italia solo 2 milioni di cui oltre 305 mila iscritti ad atenei telematici. Come se non bastasse la percentuale di giovani laureati in Italia è al 32%, contro il 40% dei 25-34enni tedeschi e il 53% dei francesi e degli spagnoli, con un altissimo tasso d’abbandono.

Per la Flc "la politica di razionalizzazione che investe e continuerà a investire il settore rende davvero poco attrattivo per un giovane che vive in Italia il percorso universitario. Non si può prendere a pretesto il calo demografico per giustificare l’esiguo numero di iscritti agli atenei italiani rispetto agli immatricolati alle università europee”.

La conclusione per il sindacato della conoscenza della Cgil è scontata: “Questi dati ci indignano ma non ci stupiscono. Sono, d’altronde, il risultato tangibile di reiterate politiche al ribasso su diritto allo studio, alloggi e costo dello studente. Se non si riuscirà a invertire la rotta, cambiando radicalmente l’investimento economico e sociale nel settore dell’istruzione, ci troveremo di fronte a un sistema universitario sempre più fragile, frammentato, povero, precario, se non al suo definitivo crollo".

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