“Mi rivolgo a voi consapevole che non stiamo attraversando un momento qualunque della vita di questo Paese”. Con queste parole si apre l’intervento di Tomaso Montanari, rettore dell’Università per Stranieri di Siena, alla giornata “Democrazia al lavoro”, l’assemblea dei delegati e delle delegate della Cgil in corso a Firenze.
Nel suo lungo e articolato discorso, Montanari ha denunciato con forza la manovra economica del Governo Meloni, definendola “una finanziaria da economia di guerra”, e ha individuato un filo ideologico che, a suo giudizio, lega l’attuale politica economica e istituzionale della destra al passato fascista.
Una finanziaria contro la giustizia sociale
“La finanziaria alla quale la Cgil decide di opporre uno sciopero generale si iscrive in un progetto più grande e potenzialmente letale per la stessa democrazia costituzionale del nostro Paese”, ha detto Montanari. “Questa finanziaria – lo abbiamo sentito – prosegue e accelera su una strada ormai ben nota: quella di togliere soldi ai più poveri per darli ai più ricchi, manovrando la leva fiscale nel modo più iniquo, cioè nel modo più contrario possibile alla progressività”.
Secondo Montanari, “questa è una finanziaria da economia di guerra, che prepara il terreno agli unici investimenti che arriveranno non in scuola, università o salute, ma in armi. Una Repubblica fondata non più sul lavoro, ma sulla paura e sull'odio”.
Lo sciopero per il governo è eversivo
Il rettore ha attaccato duramente il governo: “Questo governo ha in mente un’idea precisa di Italia – purtroppo molto più precisa di quella delle opposizioni – e in questa idea di Italia lo sciopero è un atto eversivo, da condannare, da delegittimare, da limitare il più possibile.”
Montanari ha poi ricordato le parole della premier dopo le manifestazioni in solidarietà con la Palestina: “Di fronte alle lavoratrici e ai lavoratori scesi in piazza contro il genocidio israeliano a Gaza e contro lo scenario di complicità del nostro stesso governo in quel genocidio, Giorgia Meloni ha parlato di ‘sciopero pretestuoso’, di ‘weekend lungo’, di ‘clima d’odio’”.
Il marchio della casa
“Non ci stupisce questo tono: è il marchio della casa a cui appartiene. Ma non ci stupisce nemmeno il contenuto, che appartiene a un disegno coerente e a una lunga tradizione”, ha aggiunto.
Il lavoro dipendente? Per Meloni è troppo sindacalizzato
Entrando nel merito del pensiero politico di Giorgia Meloni, Montanari ha citato direttamente i suoi scritti: “Nei suoi libri Giorgia Meloni dice che il mondo del lavoro dipendente ha il difetto di essere, cito le sue parole, ‘fortemente sindacalizzato’. Lo dice come fosse un insulto e sostiene che il rapporto tra impresa e lavoro ha un problema”.
“Sapete qual è? Non l’insufficiente tutela dei diritti dei lavoratori, non la sicurezza che non c’è, non le morti sul lavoro, non il livello dei salari. No: il problema – sono parole sue – è ‘la dinamica conflittuale voluta da una certa dialettica marxista sindacalizzata’”.
La soluzione, ha continuato Montanari, sarebbe per Meloni “la condivisione e non il conflitto, un Rinascimento partecipativo che una nazione moderna, che fa della coesione sociale la sua cifra, deve perseguire”.
“È un messaggio molto chiaro: no al conflitto sociale, no ai sindacati, no agli scioperi. Sì alla collaborazione”, ha commentato.
Un filo diretto col fascismo storico
Il rettore ha poi tracciato un parallelo diretto tra il pensiero della premier e il sindacalismo fascista. “Da dove viene questa idea di società?”, ha chiesto. “Sotto la supina accettazione dell’ordine economico che Meloni e i suoi hanno garantito all’Europa, c’è qualcos’altro. C’è qualcosa che è iscritto nel DNA della storia da cui viene Giorgia Meloni.”
Montanari ha citato “il più diffuso breviario del pensiero di Benito Mussolini che circolò nel Ventennio”, dove alla voce Sindacalismo fascista si rinviava alla collaborazione tra le classi: “Nazione, capitale, corporazioni – scriveva Mussolini – non sono in antitesi irriducibile, come predicarono i socialisti, ma sono in rapporti di stretta interdipendenza fra di loro. Da questa interdipendenza scaturisce la necessaria collaborazione”.
“Questa è la nozione che costituisce il nocciolo del sindacalismo fascista: non conflitto sociale, ma collaborazione”, osserva Montanari.
E ancora: “‘Capitale e lavoro sono sullo stesso piano’, ha scritto Giorgia Meloni. Anche Mussolini lo aveva scritto: ‘Bisogna mettere sullo stesso piano capitale e lavoro; bisogna dare all’uno e all’altro uguali diritti e uguali doveri’. Il filo concettuale mi pare fin troppo chiaro”.
Un terrificante darwinismo sociale
Montanari ha proseguito: “Dice Meloni: ‘dove arrivi dipende da te, da quanto vali, da quello che dimostri, da ciò che sei pronto a sacrificare’. Sono parole molto chiare: chi rinuncia ai propri diritti andrà più avanti. È la legge del più forte. È un terrificante darwinismo sociale che rovescia nel suo contrario il progetto della Costituzione”.
“Ma anche questa idea di una società diseguale, come punto di partenza e come punto di arrivo, ha una radice ben chiara. Si chiama ‘natura’, ed è il regno della disuguaglianza”, ha ricordato Montanari citando ancora Mussolini: “‘Si può, nella società, partire da un minimo denominatore comune, ma la natura, la forza delle cose, la vita stessa dei popoli inducono a diseguaglianze necessarie’”.
“Notate qualche somiglianza di visione fra l’una e l’altra?” ha domandato retoricamente Montanari, ricordando il discorso di Mussolini ai minatori del Monte Amiata del 1924: “Il fascismo insegna a subordinare gli interessi dei lavoratori agli interessi della nazione. Questo è il sindacalismo fascista”.
La nazione al posto della repubblica
“Con queste parole arriviamo dritti a noi, al 2025, un secolo dopo. Gli interessi della nazione: la ‘nazione’ di cui parla ogni giorno Giorgia Meloni, per la quale non esiste più repubblica e non esiste più Stato – esiste solo la nazione”.
Secondo Montanari, “gli interessi della nazione, secondo la Costituzione, vengono definiti con il pacifico e libero conflitto sociale e con il confronto parlamentare che costruiscono una sintesi dell’interesse generale, che tenga conto delle differenze e costruisca l’uguaglianza”.
“L’articolo 3: quello è il fine, l’eguaglianza d’arrivo. La divisione dei poteri è funzionale ad articolare questa dinamica complessa. Pensate al potere giudiziario, pensate al ruolo del giudice del lavoro che, concorrendo ad affermare concretamente i diritti dei lavoratori, concorre a costruire appunto l’interesse della nazione”.
Un’estrema destra ancora fascista
“Ebbene, non è questa l’idea di questa estrema destra. Fatemelo dire: un’estrema destra ancora profondamente fascista nella sua ideologia”.
“Quando questa destra propone il premierato, lo fa ponendo il governo come unico interprete della volontà popolare e dell’interesse della nazione, contro il Parlamento e contro la magistratura.”
Ha poi citato ancora la premier: “‘Esiste uno stretto legame tra l’elezione diretta del Capo dello Stato o del Capo del Governo, il premierato e la sovranità popolare’”. E ancora (scrive Meloni): “‘Il punto è qui: un popolo libero e maturo sceglie di eleggere i propri governanti senza lasciare al Palazzo la possibilità di distorcerne la volontà’”.
“Sono parole gravi – commenta Montanari -. Sono parole eversive. Sono parole colme di disprezzo. Perché quando lei dice ‘Palazzo’ intende il Parlamento, e intende i magistrati che distorcerebbero la volontà popolare, che invece sarebbe incarnata dagli eletti diretti dal popolo. Meglio se uno solo: il capo”.
Asservire la magistratura al governo
“Vedete come le cosiddette ‘riforme del premierato’ e della ‘separazione delle carriere’ – che dovremmo chiamare asservimento della magistratura al governo – sono in una relazione strettissima con la distruzione della possibilità stessa di un conflitto sociale”, ha proseguito Montanari.
“Quando i giudici del lavoro saranno sotto il controllo del governo, quali ragioni dei lavoratori potranno essere riconosciute? E questa è una ragione in più per battersi, senza riserve, nel prossimo referendum”.
I diritti dei lavoratori nel mirino
“Del resto, si chiamano ‘riforme istituzionali’, ma nel mirino ci sono i diritti dei lavoratori. Questo è l’obiettivo. Il continuo attacco al sindacato e al diritto di sciopero va preso non come uno sfogo – lo avevano reso chiaro per tempo – ma come parte di un unico progetto eversivo: distruggere la Repubblica democratica e parlamentare fondata sul lavoro, distruggere la Costituzione, che ha una colpa imperdonabile per questi signori: essere antifascista dalla prima all’ultima parola.”
Lo sciopero come atto di resistenza
Montanari ha concluso richiamandosi a don Milani: “Reagire a questa legge finanziaria con lo sciopero generale significa difendere la possibilità stessa di continuare, anche in futuro, a difendere il lavoro e i suoi diritti”.
“Don Milani diceva che lo sciopero è l’unico strumento, insieme al voto, davvero nobile. E lo diceva alla Chiesa: ‘Avete benedetto per secoli le armi e le spade che facevano vittime. Dovreste benedire lo sciopero e il voto, che sono le uniche armi possibili e legittime’”.
Infine, l’appello finale: “Perché questo, compagne e compagni della Cgil, questo è un tempo di resistenza. Un tempo di sumud, come ci hanno insegnato a dire i nostri fratelli palestinesi”.






















