Il 14 febbraio, il giorno di San Valentino, nel cantiere navale di Monfalcone è stata celebrata la costruzione di tre navi da crociera di classe “Royal”, che saranno completate entro il 2020: l'Enchanted Princess, la Sky Princess e un terzo transatlantico a cui ancora non è stato trovato un nome adeguato. Alla cerimonia, tra gli altri, c'erano Jan Swartz, presidente di Princess Cruises, la più grande compagnia da crociere al mondo, e Luigi Matarazzo, direttore della divisione navi mercantili di Fincantieri. I due hanno anche annunciato che il rapporto tra Monfalcone e Princess Cruises proseguirà con la realizzazione di altre due navi di prossima generazione. Le consegne sono previste per la fine del 2023 e per la primavera del 2025. Quello stesso giorno, il 14 febbraio, al tribunale di Gorizia c'è stata un'udienza di un processo a carico di 12 persone e quattro società che fanno parte proprio della filiera degli appalti dei cantieri di Monfalcone. Per gli indagati la procura ha ipotizzato una serie di reati che vanno dalla truffa ai danni dell'Inps e della Provincia di Gorizia fino all'estorsione e alle minacce ai danni dei dipendenti.

L'inchiesta si chiama “Free work 2” e punta al sistema di aziende che fa capo alla famiglia Comentale, che operava fino al 2013 nell'appalto Fincantieri per la coibentazione e l'arpionatura navale. Il primo troncone dell'inchiesta (il “Free work 1”) si è già concluso con la condanna di altre sette persone. Il sistema criminale era molto semplice: i condannati sfruttavano i lavoratori più deboli, gli extracomunitari ma anche italiani in difficoltà, costringendoli ad orari di lavoro sovrumani, al lavoro di sabato e domenica, e addirittura ad attività svolta a casa degli amministratori delle imprese. Ogni due o tre anni, poi, le aziende in appalto chiudevano e gli stessi soggetti mettevano in piedi una ditta nuova. Nel passaggio da un'impresa all'altra gli operai perdevano il diritto al tfr e alle terminative, perché dovevano sottoscrivere obbligatoriamente dei verbali di conciliazione. Ovviamente la nuova azienda beneficiava anche della legge sulla mobilità, riassumendo tutti come iscritti nelle liste di collocamento.

CAPORALATO, MA NON FORMALMENTE
Quella prevista per il giorno di San Valentino al tribunale di Gorizia era un'udienza tecnica, la prossima ci sarà il 12 marzo. Ma un grosso risultato nel corso del processo era già stato ottenuto il 22 gennaio precedente, quando il Gup del tribunale della città friulana aveva accolto la richiesta di costituzione di parte civile avanzata, oltre che dalla Fiom Cgil, da 19 operai bagladesi impiegati in subappalto a Monfalcone. Diciannove lavoratori sommersi nell'intricato groviglio di appalti e subappalti che avvolge la città-cantiere e in cui regnano irregolarità, negazione dei diritti e paghe sottodimensionate. La stampa locale ha subito parlato di caporalato, anche se tecnicamente non è questo il reato contestato. I fatti risalgono in effetti al 2013, prima dell'entrata in vigore della legge 199 del 2016, che estende responsabilità e sanzioni sia per i caporali sia per gli imprenditori. Lo conferma a Rassegna Manuela Tortora, l'avvocato che cura gli interessi degli operai bangladesi e della Fiom: “La prima inchiesta aveva tutti gli elementi per poter essere configurata come caporalato, ma anche in quel caso i fatti erano avvenuti prima della norma. E poi c'era anche un intermediatore, un connazionale che si occupava del reclutamento e dei passaggi formali da un'azienda all'altra. Aveva un ruolo attivo e percepiva del denaro per questo”, racconta ancora l'avvocato Tortora. Nei fatti che riguardano la seconda inchiesta, invece, il mediatore nemmeno c'è: “È un'evoluzione del metodo. A un certo punto gli operai sono diventati consapevoli del sistema e non hanno avuto più bisogno di qualcuno che glielo ricordasse”. Manca il caporale, insomma, perché “si è entrati nella consapevolezza che è questo il modo in cui si lavora negli appalti e nei subappalti a Monfalcone”. Quindi, “il meccanismo si ripeteva sempre uguale, mentre la Fincantieri faceva finta di niente”.

UN SISTEMA COLLAUDATO
D'altro canto è da molti anni che gli ingranaggi della macchina dell'appalto e del subappalto girano nella stessa direzione. E a finire schiacciati sono sempre i lavoratori più deboli. Nel 2015 anche la commissione parlamentare Antimafia aveva messo nel mirino Fincantieri. “Sono emerse delle criticità che richiedono un’interlocuzione, quanto meno per invitare l’impresa a siglare un nuovo protocollo di legalità con le parti sociali e la Prefettura. Ma Fincantieri, un’azienda pubblica, si rifiuta”, dichiarò l'allora presidente Rosy Bindi. “In effetti denunciamo questa situazione da oltre dieci anni – conferma Thomas Casotto, segretario della Camera del lavoro di Monfalcone –. Lo Stato resta sempre assente, però, e in questo vuoto finiscono per essere sfruttati soprattutto i lavoratori migranti, manodopera a basso costo che viene per lo più dal Bangladesh, ma anche dalla Romania e dal vicino Est europeo”. Per loro i problemi sono molto simili a quelli dei tanti migranti sfruttati per la raccolta nei campi del Sud Italia: la presenza dei caporali in cantiere e diversi stratagemmi utilizzati nella compilazione delle buste paga. “Fincantieri risponderà che per tutti loro vengono versati un tot di euro l'ora alla ditta in appalto – continua Casotto –, ma resta da vedere la differenza che c'è tra le ore conteggiate in busta paga e quelle effettivamente passate in cantiere”. “La mortalità delle aziende negli anni 2015-2016, quelli del Jobs Act, è stata altissima – gli fa eco Livio Menon, segretario della Fiom di Gorizia – perché è evidente che le ditte cercano risorse con altri meccanismi, come la falsificazione dei conteggi e i trucchi sui contratti. Recentemente abbiamo addirittura scoperto che per bypassare il decreto Di Maio un'azienda ha applicato il contratto agricolo ai lavoratori su una nave”. In questo contesto, il rapporto con il sindacato diventa davvero difficile. “A testimoniarlo – conferma Casotto – ci sono anche le dichiarazioni dei lavoratori in tribunale. Dicono che i loro padroni li minacciavano che se si fossero iscritti alla Cgil non avrebbero mai più messo piede in cantiere. Non nell'azienda, ma in cantiere. Insomma, sarebbero stati marchiati a vita”.

PIU' INDOTTO, MENO DIRITTI
La filiera degli appalti a Monfalcone nasce alla fine degli anni novanta. Quando Fincantieri comincia a costruire navi da crociera, rinuncia alla delocalizzazione all'estero e apre le porte ai lavoratori stranieri. Una scelta che ha finito per moltiplicare il peso dell'appalto. Al momento i dipendenti diretti nei cantieri sono 1.500 contro i 10.000 dell'indotto. Per ogni singola nave costruita Fincantieri si occupa del 20% delle lavorazioni, lasciando in concessione il restante 80%. “Da queste parti – racconta ancora Casotto – è evidente anche il fenomeno della esterovestizione (la fittizia localizzazione all'estero della residenza di un soggetto che vive od opera in Italia, allo scopo di godere di un regime fiscale più vantaggioso, ndr). Le aziende dichiarano di essere altrove, ma invece sono tutte qui. Se vai a cercarle nella patria di domicilio, non le trovi nemmeno”. Questo si traduce in un fenomeno di dumping al ribasso nei confronti di aziende locali, magari sane, che pagano correttamente contributi e che non possono competere. “Sono tutte scelte consapevoli e convenienti per Fincantieri – spiega Menon –. Per rientrare dei costi si diminuiscono le ore per le lavorazioni, così da conoscere esattamente il ricavo che ogni nave consente al Gruppo”. Ma la riduzione dei costi porta inevitabilmente una riduzione dei diritti: “I trattamenti economici su base oraria sono bassi, quindi si continua a tagliare e si scaricano i rischi sull'ultima ruota del carro: i lavoratori. In questo modo, anche le aziende serie si trovano in grave difficoltà nel pagare gli stipendi. Negli ultimi anni c'è stata una vera e propria mattanza di società in appalto”. Ma a diminuire è anche la sicurezza sul lavoro: “Specialmente a bordo, è un grosso problema. Negli ultimi 10 anni abbiamo avuto 6 morti in cantiere. Con l'aumento dei ritmi è diminuita l'attenzione e sono aumentati gli infortuni”.

Intanto, però, il sistema degli appalti continua ad arricchire Fincantieri. A testimoniarlo ci sono i risultati al 30 settembre 2018. “Il carico di lavoro complessivo è ancora a livelli record – si legge sul sito del gruppo –, pari ad euro 32,5 miliardi, quasi 6,5 volte i ricavi del 2017. Il backlog (il totale degli ordini inevasi e in attesa di essere soddisfatti, ndr) è pari a euro 26 miliardi con 104 navi in portafoglio e il soft backlog (il valore delle opzioni di contratto esistenti e delle lettere di intenti, nonché i contratti in corso, ndr) di circa euro 6,5 miliardi”.

UNA CRISI SOCIALE
La situazione nel cantieri si scarica infine sulla città. Sui 30 mila residenti complessivi di Monfalcone gli stranieri sono il 21,97%. E nel 2017 si è registrato per la prima volta il sorpasso tra i nuovi nati in città: 118 erano italiani e 140 figli di migranti. Proprio come nei cantieri navali, in testa ci sono le comunità del Bangladesh e della Romania, seguite da quelle dei Paesi dell’ex Jugoslavia. “Ma se ai lavoratori a fine mese non arriva la giusta retribuzione – spiega Casotto – hanno problemi a pagare l'affitto e le bollette e questo si traduce in un problema sociale che si ripercuote totalmente sulla città”. La risposta degli enti locali governati dalla Lega, così, alimenta da tempo un clima di tensione. Monfalcone è il comune in cui si è registrato il caso dei 76 bambini bengalesi esclusi dall’asilo e dove l'assessore alla Sicurezza e alla Vivibilità ha condiviso sul proprio profilo Facebook una filastrocca di chiaro stampo razzista. Ma Monfalcone, oggi, è anche il luogo in cui 19 lavoratori migranti hanno deciso di alzare la testa. “L'inchiesta ‘Free work 2’ – spiega ancora l'avvocato Manuela Tortora – si distingue dal primo filone d'indagine perché, in quel caso, i migranti che si erano costituiti parte civile si trovavano letteralmente in mezzo a una strada. L'azienda era stata chiusa e loro non avevano alcuna prospettiva. Nella seconda indagine, invece, le società accusate avevano ancora una certa autonomia economica, e quindi c'era per gli operai bangladesi la possibilità di una riassunzione. Evidentemente si sono proprio stufati di essere sfruttati”. Insomma, per la prima volta il sistema degli appalti e dei subappalti sembra iniziare a scricchiolare: “La strada è ancora lunga, ma forse abbiamo aperto il vaso di Pandora”.