La tutela del futuro passa attraverso tutta la sofferenza del presente. In questi mesi di caos sanitario e normativo, vissuti pericolosamente e sempre sul filo dell’emergenza, l’Inca non si è persa d’animo, restando aperta e disponibile alle richieste dei cittadini. Quando obbligatorio anche solo virtualmente, quando permesso riprendendo a macinare ricevimenti in presenza. Nel pieno rispetto del vincolo del distanziamento, dell’utilizzo, nelle sedi, dei dispositivi di protezione individuale, con appuntamenti prestabiliti che garantissero operatori e utenti da pericolosi assembrarsi negli uffici e nelle sale d’aspetto.

E mentre rispondeva concretamente alle esigenze dell’immediato, il patronato studiava e si confrontava con gli istituti di riferimento, l’Inail e l’Inps, al fine di comprendere e tradurre le normative sfornate con grande rapidità e non sempre con estrema precisione dai dpcm, che rendevano ancor più difficile il compito degli enti di fornire una interpretazione esaustiva per la loro applicazione.

Così, negli ultimi giorni dello scorso anno, proprio quando la recrudescenza della seconda ondata portava al lockdown natalizio, il cuore dell’assistenza della Cgil organizzava un confronto con gli attori più importanti del sistema al fine di fornire risposte di ordine normativo sulla tutela per i lavoratori colpiti dal covid. Ricordando che il contagio in ambito professionale è, in tutto e per tutto, un infortunio sul lavoro. Invitando i cittadini a denunciarlo. Utilizzando la rete vastissima dei delegati sindacali delle categorie della Cgil per informare a tambur battente i colleghi.

E mentre i dirigenti studiavano e facevano pressione per portare a casa il giusto riconoscimento per i cittadini colpiti da questo dramma sul lavoro, sul territorio migliaia di operatori raccoglievano storie, aprivano pratiche, comunicavano e, a volte, battagliavano con l’Inail, perché fosse riconosciuta giustizia ai propri assistiti.

È in questo sforzo collettivo che ha visto l’Inca, ancora una volta, avanguardia della Cgil nelle richieste di tutela individuale, che sono nati casi come quello del casellante di Livorno, ammalatosi la notte del 7 marzo scorso, mentre decine di automobilisti in fuga dalla Lombardia appena diventata zona rossa, passavano nelle sue mani soldi e carte di credito agenti di contagio, e lui, ignaro e abbandonato al suo destino senza dpi, due giorni dopo si ammalava gravemente. È una delle prime pratiche aperte, una delle prime vittorie delle migliaia di lavoratori che si sono e si stanno rivolgendo all’Inca per ottenere un patrocinio e salvaguardare i propri diritti. Per essere garantiti non solo nel presente, ma anche nella possibilità di postumi futuri.

E su questo difficile terreno che si misurano gli interventi della discussione dello scorso dicembre, ripresi nel primo numero del Notiziario Inca (leggi QUI) che oggi vi presentiamo, capitolo per capitolo. Qui potete trovare notizie aggiornate e interpretazioni utili sui principali elementi tecnico-giuridici della questione: dalle implicazioni dell’infortunio da covid in ambito assicurativo e in ambito sociale, al dibattito tra presunzione semplice e aggravata nel rischio da contagio sul lavoro. Dall’aggiornamento del dvr al danno differenziale. I migliori esperti del settore si pronunciano su questi temi, con le conclusioni di Silvino Candeloro, del collegio di presidenza dell’Inca.

Con la certezza che il patronato della Cgil continuerà ad esserci e a tenere aperti i suoi sportelli nelle camere del lavoro e continuerà a studiare per assicurare una tutela sempre più completa ed efficace.