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Cinquemila progetti, quasi 239 milioni di persone raggiunte in 119 Paesi del mondo, per fornire aiuto, sostegno, assistenza, servizi. Sono i numeri 2022 riportati da Open Cooperazione, il sito che da otto anni raccoglie e pubblica i dati di oltre 200 soggetti, tra organizzazioni non governative, fondazioni e altri enti del terzo settore italiani. Un mondo che ha messo a segno una crescita di quasi 10 punti percentuali rispetto all’anno precedente, per un valore economico di 1,3 miliardi di euro.
Save the Children, Intersos, Fondazione Avsi, Comitato italiano per l'Unicef, Coopi, Medici senza frontiere, Emergency, WeWorld, ActionAid e Medici con l'Africa si confermano le prime dieci organizzazioni sulla base dei bilanci delle entrate. Queste cifre restituiscono la fotografia di una realtà che ha un’importanza sempre più rilevante nel nostro Paese, nonostante che le campagne denigratorie non si siano mai fermate.
La fiducia prima di tutto
“Le persone si fidano di noi anche quando si tratta di soccorso in mare, sebbene una parte della stampa e della politica continui a screditarci – afferma Silvia Stilli, presidentessa di Aoi, Associazione delle Ong italiane -. E si fidano più di quanto non facciano le istituzioni. Non è un caso che la raccolta fondi da privati, fondazioni e cittadini, abbia livelli così alti anche se ci troviamo in una situazione di crisi. Che la raccolta lanciata per Gaza a favore delle nostre organizzazioni e dei partner locali stia andando bene, da 25 euro di libera donazione a 5 mila, con iniziative di singoli e di gruppi, mentre circola la domanda: quanti soldi vanno ad Hamas di quelli che diamo a chi opera a Gaza? E non è un caso che enti come il Ciss di Palermo e la Cgil stiano organizzando container da portare nella Striscia”.
Cooperazione mon amour
Una fiducia confermata dal numero stabile di lavoratori impiegati nel settore in Italia e all'estero, che superano le 27 mila unità, il 55 per cento uomini, il 45 donne. In crescita gli operatori italiani espatriati, nel 2022 se ne sono registrati 3.011, in aumento del 22 per cento rispetto all'anno precedente. A questa community si aggiunge il contributo dei volontari, che hanno raggiunto quota 43.565.
“Come succede per i cooperanti, anche per il servizio civile universale, sono tanti i giovani che si candidano perché vogliono fare esperienza e che chiedono di andare in aree di crisi – prosegue Stilli -. Aumentano i progetti e le Ong attive in contesti di emergenza, in Ucraina sono intervenute tempestivamente con fondi propri: questo conferma le straordinarie capacità delle nostre organizzazioni. La vera nota dolente sono le risorse dei donatori istituzionali, che rappresentano il 60 per cento dei fondi: l’impegno pubblico del 2023 non ha le stesse caratteristiche di quello del 2022. L’anno appena chiuso ha visto un blocco o una riduzione dei bandi per l’emergenza in Medio Oriente, e nei settori dell’educazione e della cittadinanza globale”.
Obiettivo 0,70 per cento
Siamo ancora molto lontani dall’impegno internazionale ed europeo sottoscritto più volte dall’Italia di destinare lo 0,70 per cento della ricchezza nazionale a sostegno di obiettivi di sviluppo. Da noi, caso unico, i fondi della cooperazione internazionale allo sviluppo si cumulano con le risorse impegnate nell’accoglienza. Facendo la somma, non si arriva neppure allo 0,27 per cento. Francia e Germania sono molto più avanti, hanno superato lo 0,5 per cento grazie a forti investimenti nell’aiuto pubblico allo sviluppo.
La Palestina ha bisogno di aiuto
“La Francia sostiene la progettazione delle organizzazioni della società civile francesi ma anche direttamente quelle dei Paesi esteri – conclude Silvia Stilli -. In Italia non siamo neppure tornati allo 0,30 per cento di qualche anno fa. E negli ultimi mesi, dopo il 7 ottobre, sono stati bloccati i progetti di emergenza che finanziano la società civile a Gaza e la firma dei contratti dei progetti approvati in Cisgiordania. A oggi ci è stato detto che lo sblocco è vincolato alle garanzie di sicurezza e alla trasparenza sulla gestione dei fondi: noi rispondiamo che abbiamo regole ferree, che più controllati di noi non c’è nessuno. La situazione in Palestina è disastrosa, non possiamo abbandonarla”.