Da marzo in poi, sino a questi giorni febbrili prima della riapertura delle aule il prossimo 14 settembre, gli interventi riguardanti il mondo della scuola si sono susseguiti pressoché quotidianamente, non ultimo il confronto di queste ore alla Camera tra esperti del Cts e deputati. Ma la voce di chi è in prima persona coinvolto nella questione, vale a dire gli studenti, non è stata quasi mai ascoltata. Lo abbiamo fatto rivolgendo alcune domande a Federico Allegretti, coordinatore nazionale della Rete degli Studenti Medi, organizzatore dell’incontro in videoconferenza che nella giornata di ieri ha visto protagonisti alcuni di loro e la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina. 

Allegretti ieri avete incontrato la ministra, o meglio le avete parlato in videoconferenza. Quali sono le vostre impressioni?

L’incontro non è andato bene, per il semplice fatto che non ci sono elementi di novità, in un contesto in cui quelli presenti già scarseggiano, e non aiutano a definire un quadro utile per la ripartenza. In più la ministra si è sentita attaccata dalle nostre rimostranze, soprattutto quando abbiamo evidenziato l’assenza di prospettiva nelle sue scelte, essendosi limitata a gestire a malapena la contingenza. Si è arroccata su una serie di posizioni secondo noi discutibili, che poi sono quelle espresse in questi giorni su vari organi di comunicazione. Un atteggiamento per certi versi arrogante, attraverso cui ha provato a venderci una serie di risultati che a noi però non risultano. Secondo lei dovevamo ringraziare per i banchi con le rotelle e pensare alle nostre responsabilità, perché se si garantisce la sicurezza a scuola e poi la notte andiamo in discoteca il lavoro da lei fatto non servirà a nulla. Che altro dire?

Dove si doveva intervenire e non si è intervenuto nel corso dei mesi estivi?

Il punto principale è il modello di gestione. Per organizzare la ripartenza si doveva organizzare un confronto aperto, dai sindacati alle autonomie scolastiche, passando per studenti e famiglie, mentre ora ognuno è abbandonato a se stesso. Penso ai tavoli regionali, che in Veneto addirittura non sono mai stati fatti. Quello che è mancato è il confronto, l’assenza di concertazione: in una situazione così difficile si è scelto di non incontrare gli attori del comparto, le parti sociali, da cui ne deriva una risposta zoppa in merito agli elementi necessari. Poi manca la visione di una prospettiva. In una crisi generale del sistema-paese si doveva imporre una proposta di lungo periodo, un progetto articolato che intervenisse profondamente nelle dinamiche della scuola pubblica, cercando di trasformare l’urgenza in opportunità, gettando il cuore oltre l’ostacolo, ma non è stato così. Evidentemente la politica è disinteressata al tema, se non per fini elettorali, e Lucia Azzolina non è la persona giusta nel luogo giusto.

Quali sono le vostre proposte?

Trovare livelli di garanzie minime di diritto allo studio e continuità didattica, collegandole alle condizioni di sicurezza sanitaria. Ma il problema, ripeto, è che invece si è scaricato tutto sull’autonomia scolastica, e nel concreto lo schema è che ogni singolo istituto si sta organizzando per i fatti suoi, mentre il modello di supporto a chi lavora nella scuola andava regolato in maniera differente. A tre settimane dalla riapertura delle aule, invece di prendere misure più coraggiose siamo qui a discutere di banchi con le rotelle, di aule che si allargano, di lezioni al di fuori delle classi. Siamo consapevoli delle tante difficoltà che si dovevano affrontare, per questo siamo stato collaborativi fino a ieri, però sull’edilizia scolastica non possiamo certo definirci soddisfatti, visto che in molte scuole non ci sarà altra scelta che fare turni pomeridiani. Non ci sono stati gli interventi necessari, in una situazione che già si presentava in ritardo nel mondo della scuola italiana, in crisi già prima della pandemia. Si doveva rispondere con misure più coraggiose, osare verso un cambiamento vero. La ministra ci ha risposto che quando arriveranno i soldi dall’Europa si potrà cominciare a pensare  in grande, si potrà sognare. Noi sappiamo che non c’è la bacchetta magica, ma di sognare cominciamo a essere stanchi. Vorremmo anche alternative concrete e tempestive.

Cosa accadrà  dall’ormai fatidica data del 14 settembre in poi?

Ogni scuola vivrà una situazione differente, totalmente delegata ai singoli istituti. Sappiamo che il rischio zero non esiste, e i dirigenti scolastici si spremono le meningi per trovare risposte adeguate, ma gli edifici sono gli stessi di prima, e l’incertezza sembra farla da padrone ogni giorno di più. A questo si aggiunge il rebus dei trasporti, tra studenti e pendolari che dovranno spostarsi da zone lontane dai centri cittadini, con mezzi di trasporto che già non erano sufficienti prima, figuriamoci ora. Questa è la vita reale, questo è il paese reale, un quadro di normalità che normale non era. Quindi ci ritroviamo nel caos più totale, dentro le scuole ma anche nelle famiglie che dovranno riorganizzare la propria vita quotidiana, laddove il mondo della scuola imporrà tempi e modalità del tutto nuovi, se sarà in grado di farlo. Ad oggi le scuole sono abbandonate a se stesse, e ciascuno dovrà fare da sé.